Papille, il seguitissimo critico gastronomico fuori dagli schemi, amato dal popolo e temuto dai più grandi chef, perde l’uso della lingua e del gusto per la vendetta di uno chef stellato.
Puntate precedenti
Capitolo 1 – Panace di Mantegazza
Capitolo 4 – Mignon vegani, alici, cacao e melanzana
Capitolo 6 – Pomodoro Ciettaicale
Capitolo 9 – Zuppa di pipistrello
Capitolo 10 – Tramezzino pollo e insalata all’obitorio
Capitolo 16 – Rosmarino e basilico
Capitolo 17 – Falange di granchio oceanico
Capitolo 27 – Cucciolo di cinghiale
Capitolo 30 – Crostatina alla marmellata
Capitolo 33 – Cassette di pomodoro
Capitolo 35 – Croccante alle mandorle panna allo zabaione e erbe di campo
Capitolo 39 – Coulis di mirtilli, more e lamponi
Capitolo 40 – Riduzione d’aceto
Capitolo 41 – Carciofi sott’olio
Capitolo 43
Sashimi di Salmone
In Giappone ha imparato a lavorare il pesce crudo, gran parte del suo successo lo deve a quei due anni di esperienza lì. Sagripanti si ricorda di quando gli sfuggì il coltello appena affilato e gli mozzò parte dell’indice mentre sfilettava un salmone. Non sentì nulla. Guardò il pezzo di falange con l’unghia penzoloni inondare di sangue scuro il salmone arancio e rosa, reagì al dolore stringendo i denti. Pensò ad alta voce:
– Se perdo il dito non posso lavorare.
Lo soccorsero veloci i colleghi della brigata e in pochi giorni la ferita era monitorata e sicura. Il giorno in cui ricominciò a lavorare, dopo un paio di settimane venne accolto nell’elegante ristorante fuori Kyoto da un applauso, perché in effetti, pensa, aveva già il suo stile come Chef. Sorrideva. Cosa rara.
Più che altro era apprezzato per gli accostamenti cromatici espressi nei piatti. La brigata del ristorante lo aveva soprannominato Chef Gaka, che in giapponese significa pittore.
Respira, il ricordo lo distende. L’infermiera applica nuove garze e lui respira a fondo per accogliere il dolore.
– Ora Chef, la chiamiamo tutti Chef qui eh! Ora Chef, sia paziente dobbiamo toccare il retro della mandibola per l’allineamento delle arcate.
Sagripanti emerge dai ricordi, guarda la stanza roteando gli occhi. Dalle tende la luce gli sembra entri fioca, forse una nuvola copre il sole, pensa.
Controllare l’allineamento delle arcate significa toccare il retro della mandibola poco sotto l’orecchio. E spingere. Spingere non troppo spera, altrimenti gli spaccano di nuovo la bocca. Il dolore è attutito, dicono, dalla morfina.
E puntuale arriva e lui non può far altro che rimanere immobile. Stira i muscoli dal dolore fino a sembrare dieci anni più vecchio.
Ma dura poco. La fortuna di alcuni dolori è che sono intensi, ma durano poco.
Il dolore provato in Giappone invece, il giorno della partenza, non se ne è mai andato.
Ricorda l’anziano cuoco proprietario del ristorante, a lui deve tutto il suo sapere sul pesce. L’uomo gli rivolse la parola solo per dirgli: – Sei una grande delusione. La bravura delle tue mani viene da un cuore sporco.
– Fatto Chef. Ora se ne riparla tra ventiquattro ore.
Sagripanti strizza gli occhi per sincerarsi non ci sia più dolore.
Entra nella stanza il primario. Gli infermieri escono, affaccendati.
– Salve Mauro. Andiamo meglio?
Sagripanti muove la testa sul cuscino, chinandosi verso il medico.
– Andiamo meglio. Glielo dico io. Le lesioni stanno seguendo il corso che mi aspettavo. Ma sarò chiaro. La mobilità è compromessa, il poter parlare dipende dalla riabilitazione; e da lei.
Sagripanti immagina il suo lavoro di Chef finire lì. Un dito che pende può farti rallentare, rimandare, temporeggiare e fingere anche. Ma una mandibola fuori uso, il non poter comandare con le parole, con il gonfiare il petto e dar voce all’ego da dentro la giacca da Chef, sempre la stessa stirata e lavata ogni notte, con il suo nome ricamato, significa fine.
Chiude gli occhi senza forza, come a volersi addormentare e non svegliare più.
– Mauro, mi ascolti. Questa è la clinica migliore le potesse capitare. Faremo il possibile.
Continua a tenere gli occhi chiusi. Pensa a Papille. Per un solo istante, a quello che deve aver passato per sua mano, alla scorrettezza di cui si nutre da sempre, a quel brodo, a quella pianta ottenuta grazie alle sue amicizie giapponesi. Al suo stato attuale. Al vecchio cuoco giapponese, che aveva ragione.
Sente freddo, comprende di aver agito contro se stesso, contro quella parte di sé che non si è mai sentita all’altezza. Se lo ricorda bene pensa il Giappone.
La cucina è in fermento. I ragazzi giapponesi della brigata sono api a lavoro.
– Chef Gaka, Chef Gaka! in sala c’è il direttore dello Yomiuri Shinbun!
Sagripanti capisce il loro inglese rudimentale, risponde lento.
– Il quotidiano?
– Il più grande quotidiano! Il più fantastico quotidiano di tutto il Giappone.
Sagripanti sorride.
– Chef Gaka ma non capisce? L’occasione! Con tutte le lettere maiuscole! Una recensione, un trafiletto su quel giornale, farebbe schizzare tutti noi nell’olimpo dei ristoranti.
Il ragazzo si morde le mani, corre tra i fornelli e scompare nella porta che dà sul magazzino.
La cucina è calda, i vapori delle zuppe sbuffano fin sul soffitto, la zona sashimi ha due tagliatori e un giovane che assembla il riso.
– Mauro, hai sentito chi abbiamo in sala? – Chiede l’anziano cuoco spingendo la sedia a rotelle a pochi centimetri dalla gamba dello Chef.
Sagripanti sorride fingendosi distratto.
– Taglierò io il sashimi per questa sera, Mauro.
Tutta la brigata si ferma sorpresa, emozionata.
Sagripanti gli sorride, un sorriso condito di una goccia limpida di disappunto ai lati delle labbra.
L’anziano sfila con la sedia a rotelle, sale sulla pedana e si posiziona.
Guarda Sagripanti che ricambia lo sguardo solo per qualche secondo, poi abbassa gli occhi e pensa al significato della parola sashimi, “corpo infilzato”.
L’anziano cuoco taglia il salmone come fosse carta, morbido e veloce continuando a guardare lo Chef Sagripanti. Si muove come se seguisse uno spartito musicale. Sagripanti si allontana, guarda in sala. Il direttore del giornale beve del vino bianco, ha davanti una donna scura di pelle e una bambina che deve essere la loro figlia.
Quell’uomo può portare il ristorante anni luce avanti. Pensa a quello che potrebbe fare alla sua carriera.
– Chef Gaka, tocca a te per i colori. È ora di servire il direttore. – Uno dei ragazzi lo chiama.
Sagripanti si avvicina per decidere le sfumature cromatiche. Guarda l’anziano cuoco concentrato che disegna con il coltello un piccolo fiore di loto con la pelle argentata del salmone. Sagripanti, senza emozione, decora con spezie ed erbe colorate. Sceglie cromature scure che sfumano nel pastello del wasabi. Muove le mani a scatti, teso. Sente la frustrazione di essere marginale fin dentro i tendini.
Quel direttore, quell’omino giapponese pensa, può svoltare la carriera si ripete.
E così guarda il vecchio. Guarda la sedia a rotelle, gli stinchi scheletrici che finiscono in piedi magri dentro ciabatte bianche. E prende il piatto.
– Cosa fai Mauro?
– È un po’ che attende il direttore, e voi impieghereste tempo. Ci penso io.
Sagripanti non ascolta la risposta e si avvia verso al sala. Cammina con il petto in fuori, sfiora un cameriere e arriva al tavolo.
Dalla cucina il vecchio cuoco lo osserva senza mutare l’espressione piatta del viso.
La mattina seguente, Sagripanti arriva in cucina per ultimo. Fuori dal ristorante ci sono due giornalisti con telecamere seduti. Lo fermano, parlano giapponese, lo strattonano ma lui non capisce. Entra. Non ci sono gli altri cuochi, solo l’anziano che è sempre il primo ad arrivare.
Sul tavolo c’è il giornale del giorno.
L’anziano lo guarda con occhi piccoli, senza parlare esce spingendo le grosse ruote della sedia.
L’articolo è in giapponese. Tocca il giornale, la carta sulle mani è fresca, lo gira e lo rigira. Finché non entra uno dei giovani della brigata.
– Puoi leggermelo? – Chiede, senza riuscire a nascondere una sfumatura di nervosismo.
– Certo! Oh mamma che emozione. Il maestro, lei, e tutti noi sullo Yomiuri Shinbum.
– La cucina giapponese nel firmamento del cielo italiano dice il titolo, wow Chef, che inizio.
– Continua.
– Lo Chef Sagripanti taglia il salmone come il miglior cuoco giapponese. Sezione perfetta, taglio impeccabile, colori sgargianti. L’idea dello Chef è quella di rendere giapponese lo stile italiano e viceversa. E ci riesce. Ci riesce così bene che siamo qui a scrivere per lanciare al mondo gourmet la sfida. Ma lo Chef Gaka, così chiamato per le abilità cromatiche, da cometa nei nostri cieli nipponici fino al rientro in Italia tra qualche mese, una prima stella Michelin la merita o no?
– Fermati, mi basta così. Sagripanti gonfia il petto senza sorridere. Una possibile stella Michelin presentata da una delle testate più potenti al mondo. Guarda fuori dalla cucina, l’anziano cuoco sfila senza considerarlo e sparisce nella sala apparecchiata per il pranzo.
– Mauro? Se la sente di iniziare la riabilitazione lunedì? – Il primario è ancora lì.
Lo Chef tiene gli occhi chiusi, come quando ricevette la prima stella Michelin nel suo ristorante pochi mesi dopo il rientro dal Giappone. Si agita e con il viso fa cenno di no.