Papille: Capitolo 42 – Terra

Gli uomini salgono i gradini, piano. Una processione uguale a quelle che nei piccoli paesi la domenica riempie le chiese.

Papille, il seguitissimo critico gastronomico fuori dagli schemi, amato dal popolo e temuto dai più grandi chef, perde l’uso della lingua e del gusto per la vendetta di uno chef stellato.

Puntate precedenti

Capitolo 1 – Panace di Mantegazza

Capitolo 2 – Cappio

Capitolo 3 – Ferite

Capitolo 4 – Mignon vegani, alici, cacao e melanzana

Capitolo 5 – Strazzata lucana

Capitolo 6 – Pomodoro Ciettaicale

Capitolo 7 – Battuto d’occhio

Capitolo 8 – Sardine

Capitolo 9 – Zuppa di pipistrello

Capitolo 10 – Tramezzino pollo e insalata all’obitorio

Capitolo 11 – Lampare

Capitolo 12 – Pesce fresco

Capitolo 13 – Entrée

Capitolo 14 – Mani nel sacco

Capitolo 15 – Pinzimonio

Capitolo 16 – Rosmarino e basilico

Capitolo 17 – Falange di granchio oceanico

Capitolo 19 – Paella

Capitolo 20 – Menabrea

Capitolo 21 – Latte materno

Capitolo 22 – Mela

Capitolo 23 – Sangria

Capitolo 24 – Peperoncino

Capitolo 25 – Crema di caffè

Capitolo 26 – Cuore di maiale

Capitolo 27 – Cucciolo di cinghiale

Capitolo 28 – Bacon e uova

Capitolo 29 – Carne o pesce?

Capitolo 30 – Crostatina alla marmellata

Capitolo 31 – Foie gras

Capitolo 32 – Crackers

Capitolo 33 – Cassette di pomodoro

Capitolo 34 – Totano crudo

Capitolo 35 – Croccante alle mandorle panna allo zabaione e erbe di campo

Capitolo 36 – Ossa di Pollo

Capitolo 37 – Ricci di mare

Capitolo 38 – Melanzane viola

Capitolo 39 – Coulis di mirtilli, more e lamponi

Capitolo 40 – Riduzione d’aceto

Capitolo 41 – Carciofi sott’olio

Capitolo 42

Terra

Papille muove la testa, attento a ogni rumore che arrivi dai dintorni del casolare.

Renato sta tornando. Deve ancora rispondergli al messaggio.

Prende il telefono dell’albanese e digita: @Adrian scrive: È andato via, io ho visto lui andare verso campi correndo.

Invia, poi guarda la botola.

Da quando l’ha aperta non si è ancora mosso nulla. Non sente rumori. Accende il flash del telefono e lo punta dritto nell’oscurità.

Non può sentire l’odore di carne, di sudore, di stantio che sale rinfrescato dall’aria esterna che entra nel portellone. C’è qualcuno all’interno. Il ragazzino, il figlio di Linda pensa.

Il flash illumina le scale. Gli occhi di Papille incontrano due, quattro, almeno una dozzina di altri occhi. È un momento breve quello in cui le ombre dentro lo scantinato restano immobili e tese, poi capiscono di non avere davanti un carceriere. Papille indietreggia, fa cenno di aspettare, di stare calmi.

Gli uomini salgono i gradini, piano. Una processione uguale a quelle che nei piccoli paesi la domenica riempie le chiese. Poi aumentano il ritmo, circondano Papille sicuri che lui non sia uno degli albanesi.

Papille continua a far cenno di rimanere calmi.

– Par-rlate italian-no?

Il gruppetto di uomini cresce, una ventina di persone respira con la testa in su aria fresca.

– Par-late it-tal-iano? – Ripete a fatica, poi si pulisce la bocca umida per lo sforzo.

Lo guardano. L’uomo più anziano fa un cenno con il volto. Due uomini avanzano e lo immobilizzano. Lo spingono a terra. L’uomo più giovane dalla pelle nera con una piccola cicatrice a forma di luna sotto l’occhio, gli spinge un ginocchio sul collo.

– Io sì.– L’uomo che aveva dato il comando, fa un passo avanti. Sembra abbia una cinquantina d’anni, è indiano ma parla un italiano perfetto.

– Abbiamo sentito delle grida da dentro il casolare. Chi sei?

– R-renat-to ha uc-ciso un-na donna. – Deglutisce.

Altri due uomini gli bloccano le braccia all’altezza dei polsi sotto le scarpe. – Sta tor-nando per me, aiutatemi ad affrontarlo.

– Dicci chi sei.

– È compl-lesso d-da spiegar-re.

L’uomo che gli blocca il collo aumenta la pressione.

–Abbiamo poco t-temp-po. Vi pr-rego.

– Perché dovremmo fidarci di te?

Papille resta in silenzio. Respira a fatica. Tossisce. Dalla gola compressa esce poca aria.

– Perché ci dovremmo fidare di te? – Non ha inflessioni di tono o di pronuncia l’uomo.

– Potresti essere uno di loro. E pensi non vorremmo ucciderlo noi Renato? Se non lo abbiamo fatto è perché ci ricatta.

Noi lavoriamo qui e per farci lavorare ci trattiene i soldi che un giorno ci darà. Io sono quello fortunato qua in mezzo. Li vedi questi?

Indica il gruppo di uomini. 

– Arrivano dall’Africa, non parlano italiano e Renato mi dà una piccola parte in più per ognuno di loro che gli porto.

Il petto di Papille si sgonfia, come se la speranza uscisse fuori per perdersi nell’aria.

– Sai quanto pagano per raccogliere i pomodori in queste zone? – Continua l’uomo, – quindici euro a giornata. Dieci li lasciano per mangiare, cinque li trattiene Renato come assicurazione, a me ne lascia tre in più.

– Io p-pos-so aiut-tarti.

–E come?

– P-os-so f-far crol-lare R-renat-to e liber-arvi. Dir-e al mon-do com-e vivet-te.

L’uomo sorride. Tiene il sorriso sul volto per un po’, poi gli occhi si stringono.

– E pensi che al mondo interessi? O che a me interessi?

Papille resta in silenzio.

– Offrimi più soldi di Renato e l’amico qui non ti spezza il collo.

Ora, pensa, davvero non può fare più nulla. Morire per mano di braccianti e non per quelle di Renato. Prova a liberarsi, ma con poca foga. Gli uomini non allentano la pressione.

E per la prima volta si odia. Credeva fosse facile restare tra le fiamme alte dell’inferno. Credeva di potercela fare.

– Ragazzo, devi stare attento che la vita fa promesse che non avrai mai. – Gli disse una volta il padre. Non ricorda il motivo. E ci pensa, ora, e gli viene da ridere perché sia per mano di questi africani che per mano di Renato, morirà. E per le promesse mai mantenute ride. Per il video che il mondo vedrà. Gli viene da ridere che il collo sotto al ginocchio del giovane gli fa male, quasi si strozza. Ma ride e non gli interessa più. Perché prima di morire pensa al riconciliarsi con quelle parti di sé che ha barattato per il successo, per il silenzio, per l’unica promessa mantenuta che ha avuto. Quella di non farsi umiliare, mai.

Gli uomini lo guardano.

– Che ridi?

Papille non risponde, mezzo sorriso gli rimane sul volto. Chiude gli occhi. Aspetta glielo spezzino.

Visualizza il volto del ragazzino. Pensa a lui, a Linda ancora faccia a terra nel casolare. Al ragazzino pietrificato. Che non vedrà mai più la madre.

Le immagini svaniscono quando qualcuno lo tira su in piedi. Almeno sei braccia lo sollevano dritto davanti all’uomo più anziano. A pochi centimetri dal suo volto.

– Io mi ricordo di te. Tu hai aiutato Solomon al campo. Il ragazzino che parla troppo. Tu sei l’uomo che lo ha aiutato.

Papille in silenzio annuisce poco convinto. Sì lo ha aiutato. Ma ad affiorare è solo il ricordo di Solomon che cade a terra nel mezzo di una piazza e lui che prova a scappare per non farsi prendere dai Carabinieri.

– Solomon è solo al mondo ed è diabetico. E io me ne prendo cura. Ora è in difficoltà penso, perché è sparito di nuovo. Ma mi ricordo di te, lui mi ha parlato di un uomo strano che parla male e ha la lingua gonfia. Mentre ridevi l’ho vista. Ora. Io ti libero, tu sparisci.

Papille lo guarda negli occhi. Vuole dirgli che non se ne andrà e che affronterà Renato. L’attenzione va su due giovani uomini, gli unici già più lontani dal gruppetto, che iniziano a correre. Scappano. Corrono veloci.

Altri due ragazzi molto alti, dal fisico asciutto e tonico guardano l’uomo davanti Papille. Lui fa cenno di no, Papille percepisce che li avrebbero trovati in seguito, che è solo un rimandare. C’è spietatezza nel suo sguardo, osserva.

– Vattene anche te. Non ti farò braccare – Dice l’uomo. Mangiati i pomodori tranquillo a casa, pagali poco, goditeli. Che a questo pensiamo noi. Indica il casolare.

– Ques-st-to può cambiar-re.

– No. Non cambierà mai. Ce ne saranno altri migliaia come noi. E poi altre migliaia. E migliaia saranno i vostri pomodori a tavola e decine i nostri morti sottoterra. Vai via e non tornare.

L’uomo si gira, fa cenno agli altri di seguirlo. E silenziosi, tutti con il capo chino tranne lui, rientrano nello scantinato.

Papille li guarda. Li segue qualche passo e li vede sparire nel buio.

Poi dal fondo delle scale sente la voce dell’uomo:

– Chiudi il portellone. E vattene.

Papille fa il gesto ma si ritrae. Poi tira la maniglia e chiude i braccianti nello scantinato. Passa minuti interi immobile a fissare il legno della grossa botola. Poi dei passi, passi di più di una persona, leggeri, lo distraggono. Papille si allontana, gira silenzioso e veloce attorno al casolare, fino a che non si ritrova alle spalle di due ombre.

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Andrea Fassi

Pronipote del fondatore del Palazzo del Freddo, Andrea rappresenta la quinta generazione della famiglia Fassi. Si laurea in Scienze Politiche e Relazioni Internazionali coltivando l’interesse per la scrittura. Prima di seguire la passione di famiglia, gira il mondo ricoprendo diversi ruoli nel settore della ristorazione ed entrando in contatto con culture lontane. Cresciuto con il gelato nel sangue, ama applicare le sue esperienze di viaggiatore alla produzione di gusti rari e sperimentali che propone durante showcooking e corsi al Palazzo del Freddo. Ritorna al passato dando spazio al valore dell’intuito invece dei rigidi schemi matematici in cui spesso oggi è racchiuso il mondo del gelato. Combina la passione per il laboratorio con il controllo di gestione: è l’unico responsabile del Palazzo del Freddo in qualità di Amministratore Delegato e segue la produzione dei locali esteri in franchising dell’azienda. In costante aggiornamento, ha conseguito il Master del Sole 24 Ore in Food and Beverage Management. La passione per la lettura e la scrittura lo porta alla fondazione della Scuola di scrittura Genius nel 2019 insieme a Paolo Restuccia, Lucia Pappalardo, Luigi Annibaldi e ad altri editor e scrittori. Premiato al concorso “Bukowsky” per il racconto “La macchina del giovane Saleri”, riceve il primo premio al concorso “Esquilino” per il racconto “Osso di Seppia” e due menzioni speciali nei rispettivi concorsi “Premio città di Latina” e “Concorso Mario Berrino”. Il suo racconto “Quando smette di piovere”, dedicato alla compagna, viene scelto tra i migliori racconti al concorso “Michelangelo Buonarroti”. Ogni martedì segue la sua rubrica per la scuola Genius in cui propone racconti brevi, pagine scelte sui sensi e aneddoti dietro le materie prime di tutto il mondo. Per la testata “Il cielo Sopra Esquilino” segue la rubrica “Esquisito” e ha collaborato con il sito web “La cucina italiana” scrivendo di gelato. Docente Genius di scrittura sensoriale, organizza con gli altri insegnanti “Il gusto per le storie”, cena evento di degustazione di gelato in cui le portate si ispirano a libri e film.

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