Papille, il seguitissimo critico gastronomico fuori dagli schemi, amato dal popolo e temuto dai più grandi chef, perde l’uso della lingua e del gusto per la vendetta di uno chef stellato.
Puntate precedenti
Capitolo 1 – Panace di Mantegazza
Capitolo 4 – Mignon vegani, alici, cacao e melanzana
Capitolo 6 – Pomodoro Ciettaicale
Capitolo 9 – Zuppa di pipistrello
Capitolo 10 – Tramezzino pollo e insalata all’obitorio
Capitolo 16 – Rosmarino e basilico
Capitolo 17 – Falange di granchio oceanico
Capitolo 27 – Cucciolo di cinghiale
Capitolo 30 – Crostatina alla marmellata
Capitolo 33 – Cassette di pomodoro
Capitolo 35 – Croccante alle mandorle panna allo zabaione e erbe di campo
Capitolo 39 – Coulis di mirtilli, more e lamponi
Capitolo 40
Riduzione d’aceto
La strada sterrata che si allontana dal casolare non ha illuminazione. La macchina nera, una BMW berlina vecchia di quattro modelli, sfreccia con un solo faro funzionante.
Renato, alla guida, grida al telefono tra la spalla e l’orecchio. Con la mano libera lo sfila e lo sbatte sul volante. Quando la macchina sbanda, traffica per mettere il viva voce lo tira sul sedile. Si gira verso il telefono perché l’interlocutore possa sentire meglio la voce.
– Il cazzo di questi albanesi di merda. Mi mandi questi albanesi di merda li pago e li campo e gli devo pure pulire il culo quando si fanno inculare da uno YouTuber, pure senza lingua e con le mani legate?
Dal telefono arriva la voce di Carletti.
– Renato, stai calmo. Il bambino?
– Eh. Le domande le faccio io. Tu mi dai le risposte.
– Dimmi.
– Mauro come sta?
– Renato, male. L’operazione diciamo è andata. Ma non ha più mobilità alla mandibola, lo aspetta una lunga riabilitazione. Ma è presto per dirlo.
Renato scoppia in una risata forzata, rumorosa.
– L’ho sempre detto che è un coglione. Te lo immagini a balbettare a quelle là, come si chiamano, quelle cose là che fa lui tutto in tiro e racconta due cazzate sulle riduzioni d’aceto e crostini di merda e tutti lì ad ascoltare e a sbavare. Dai come cazzo si chiama, identità non so cosa, golose, gioiose. Con tutti che lo compatiscono e che è un esempio di forza e ‘ste cazzate. Che ce l’ho messo io lui lì.
Ride di nuovo. Il telefono resta muto.
Il casolare è sempre più vicino. Renato tiene entrambe le mani sul volante e le sbatte con forza. Non si è allontanato più di qualche chilometro.
– Renato, senti, il bambino? E la donna?
– Chi cazzo fa le domande? Io ti pago per fare domande o per trovare risposte?
Passa qualche secondo.
– Rispondimi, io ti pago per fare domande o per trovare risposte?
– Per trovare risposte Renato.
– E allora. Aggiornami su Mauro e ricordati cosa deve raccontare ai medici, niente polizia niente domande. Risposte.
Carletti resta in silenzio. Pensa a quando decise anni prima di mettersi in affari con questa gente. La mattina ha visto in televisione quella sud americana delle pulizie nel suo studio. Un problema, ha pensato. La polizia farà domande.
– Va bene Renatino, ok.
Ma Renato ha già attaccato. Il faro della BMW saltella sulla terra tra le pietre, rallenta.
Spegne le luci, si accosta e prende il telefono.
@Renato scrive: dove stai? Io sono a cinquanta metri. Dimmi se quello gira ancora nei dintorni.
Lascia scivolare il sedere sul sedile, la grossa pancia gonfia nasconde la cintura di sicurezza che passa all’altezza dell’inguine.
– Quanto cazzo ci mette a rispondere. Sta legato il coglione. Legato. E ora non risponde. – Strilla dentro la macchina.
Decide di aspettare. Per non rischiare, per arrivare preparato. La tensione la gode, la sente può lasciarla crescere. Ha ancora l’adrenalina sulla mano. Pirotecnico il tagliare la gola a quella, ma meglio il ragazzino non abbia assistito. Comunque il problema non è se Papille scappa, ma se arriva lui impreparato e si fa sorprendere. Ormai il video ce l’ha. Sprofonda ancora sul sedile in pelle. Prende il telefono e apre la galleria delle foto. Il video di Papille è lì. Mette play, manda avanti, si sente bene e si vede nitido.
Ride.
– Sto coglione. – Dice.
Torna indietro e tra i video ne intravede alcuni che conosce. Uno con due rumene, uno con Linda, uno con una bella negretta. Sente calore sotto la cintura.
Ne apre uno. Poi pensa all’albanese.
Apre i messaggi lasciando in background le immagini.
@Renato scrive: coglione rispondi. Rispondi o vengo lì e sparo a tutto quello che si muove te compreso.
– Per Dio. – Esclama.
Torna sui video. Mette play. La ragazza di colore è la moglie di un bracciante. Per farlo lavorare, se l’è scopata per bene e le ha pure pisciato addosso. Pensa.
Ma tanto poi senti, ha pensato quando parlava con il marito di lei: I soldi li ho, una bella negretta esotica con queste due tette di marmo è pure poco per me, gli faccio un favore a sto negro. Vuoi lavorare, mi fai divertire con tua moglie. Ed è andata.
Nel video la donna si contorce, Renato è sudato e nudo. Si fa fare tutto la negretta, si ricorda bene. Ma ingravidarla no, non ci ha pensato un attimo. Dal sedile della macchina sorride.
È grasso, lo riconosce. Ma si vede che alla fine a quella le piace pure che ci infila un paio di verdure. Manda avanti il video per trovare quel punto. Ride e sbuffa.
Gli piace rilassarsi prima di dover fare qualcosa di difficile, dove c’è tensione.
Mica è sempre in tiro, sempre sul pezzo. Pensa. Ci vuole uno sfogo e rivedersi va bene.
Il video scorre, l’albanese non risponde. Renato si aggiusta i pantaloni e i boxer tenendo la mano giù più a lungo del dovuto.
La ragazza di colore è nuda e Renato non la guarda, si guarda. Ha in mano una bottiglia e una zucchina.
In quel momento arriva la notifica di un messaggio da Adrian.
@Adrian scrive: È andato, andato via, io ho visto lui andare verso campi correndo.
Pure le virgole mettono gli albanesi, pensa leggendo il messaggio. Ma poi si distrae con Papille. Hai capito il vigliacco di merda, ha mollato il cadavere dell’amichetta, il ragazzino e via.
Riaccende la macchina, tiene i fari spenti e procede in prima, senza accelerare.
Dopo pochi metri decide di lasciare l’auto a distanza per proseguire a piedi.
È strano sia scappato così. Pensa però. Riflette che è difficile nella sua situazione non cercare di estorcere informazioni a un uomo immobilizzato, o non cercare di trovare il ragazzino, non cercare di riprendere il cellulare.
Il pensiero poi va alla zucchina bella grossa tra le gambe della negra. Che troia, pensa. Ma torna subito concentrato. Accosta di nuovo e scende dall’auto. Cammina. Il casolare è a meno di dieci metri.
Nella sua vita, per arrivare a trattare di braccianti e prostitute, al livello di dare noia alle mafie del posto, non commette errori. E pensa a Papille. Quando capitano, gli errori li elimina.
Ma Papille è ancora lì. No, non se ne è andato, più si avvicina più gli è nitida l’idea che Papille sia ancora lì e che ci sia qualcosa che non quadra.
Si blocca. Torna indietro fino alla macchina.
Apre il porta bagagli. È buio e vede solo movimenti di un’ombra. Punta il telefono attivando lo schermo con le dita.
Legato e imbavagliato c’è il figlio di Linda. Renato tira fuori il coltello, pensa alla madre del ragazzino e a come sia caduta a terra, tipo un sacco di patate.
Poi guarda il bambino. Lui pure ha perso la mamma che aveva la sua stessa età, gli sembra di sì, che avesse più o meno quell’età ma non gliene è mai importato molto.
Taglia la corda intorno alle caviglie del piccolo e lo tira fuori dalla macchina.
– Sei un uomo no? Un ometto con i connotati giusti. Quindi adesso cammini ed eviti di farmi arrabbiare. E lo strattona.
Il bambino non risponde, resta fermo. Guarda la chiazza scura sui pantaloni della tuta.
– Non dirmi che ti sei pisciato sotto.
Lui fa cenno di no.
– Ora te la tieni. Vedi di dimostrare di non essere una femminuccia per Dio.
Nella notte lucana, senza rumori, i due camminano lenti. Le scarpe del bambino strusciano la terra alzando sbuffi di polvere.
Entrano nella proprietà. Renato rallenta, tiene per la maglia il bambino. Avanza stringendolo a sé con forza e con l’altra mano gli avvicina il coltello al collo.