Papille, il seguitissimo critico gastronomico fuori dagli schemi, amato dal popolo e temuto dai più grandi chef, perde l’uso della lingua e del gusto per la vendetta di uno chef stellato.
Puntate precedenti
Capitolo 1 – Panace di Mantegazza
Capitolo 4 – Mignon vegani, alici, cacao e melanzana
Capitolo 6 – Pomodoro Ciettaicale
Capitolo 9 – Zuppa di pipistrello
Capitolo 10 – Tramezzino pollo e insalata all’obitorio
Capitolo 16 – Rosmarino e basilico
Capitolo 17 – Falange di granchio oceanico
Capitolo 27 – Cucciolo di cinghiale
Capitolo 30 – Crostatina alla marmellata
Capitolo 32
Crackers
Il viale silenzioso si snoda incorniciato tra piccoli lecci. Dalla casa non proviene rumore. È in una zona tranquilla che ha scelto per non dare nell’occhio. Il viottolo privato sale verso l’ingresso contornato da un giardino curato con erba bassa e fiori.
La finestra della camera da letto è aperta. Due ragazze sono sedute sul letto. Renato le ha chiuse lì per evitare che vedessero.
– Dobbiamo metterti a posto la faccia. Hai la mandibola rotta. E ripulire questa merda.
Indica il pavimento della cucina chiazzato da macchie di sangue del cinghiale. Linda, sul divano, ha le mani legate e lo scotch sulla bocca.
– E poi che cazzo facciamo? Io te l’ho detto Mauro, le cose si fanno bene e tu non le fai per bene. Dovevamo toglierci dal cazzo pure questa troia qua. Io se esce qualcosa sparisco nel nulla e tu ti prendi in culo tutto il cetriolo.
L’odore del cinghiale ancora nell’aria è denso da provocare a Linda un conato. Emette un rumore stirando i muscoli del collo. Guarda Renato, in piedi davanti a lei e lo Chef, seduto su una sedia con la mandibola che sembra una parte divelta di una bambola di pezza.
Il sapore acre di bile le sale fin su al palato.
– Guarda ‘sta troia come t’ha ridotto, – ride Renato, – sembri il buco del culo di una di quelle ragazzine thailandesi dopo che sono passate per casa mia.
Linda guarda lo zaino lasciato in un angolo del salone, svuotato del contenuto. Sul tavolo ci sono gli oggetti di Papille, tra cui il telefono con cui aveva registrato parte del video trovato nello studio di Carletti, la patente, il codice fiscale e un bancomat del critico gastronomico, dei cracker integrali Misura e due forcine per capelli di Linda.
Renato guarda il tavolo, distratto dallo sguardo della donna.
– Quel Papille ci crea problemi senza che ancora sia arrivato a te. Ci sono i suoi documenti nello zaino. Mauro. Che cazzo ti viene in mente di avvelenarlo che è pure tre volte più famoso di te. Ma neanche in Sardegna negli anni novanta una stronzata simile la pensavano prima di rapire qualcuno.
Lo Chef ha gli occhi sbarrati. La mandibola non risponde ad alcun input. Deve essergli esplosa la giuntura tra parte superiore e inferiore per la pressione. Pensa a come giustificherà un incidente simile, a come farà capire alle persone che può succedere che una troia ti ficchi in bocca il cuore che hai appena strappato dal petto di un cinghiale investito e caricato sul tavolo della cucina per mangiarlo crudo. Quasi gli viene da ridere. Ma il dolore aumenta, e la sensazione di non avere risposta da una parte del corpo pompa tutto il sangue sul punto dolente, rischiando di farlo svenire.
– Adesso, – dice Renato, – mando via quelle due. Belle fighe peraltro, con quella mandibola sai che giochini. Che coglione che sei, come tutti i mezzi cuochi famosi pieni di ego. Guarda là come sei terrorizzato. Ah, le troiette me le paghi lo stesso eh.
Strizza l’occhio allo chef e si allontana verso la camera da letto, apre la porta.
– Oh voi due. Da lì siete entrate e da lì uscite.
Indica la finestra che dà sul giardino. Muove la mano a far cenno di andar via.
La vede, una delle due, che sta lì lì per chiedere comunque dei soldi. Glielo legge in faccia alla tipa più grande delle due. Bionda tinta, alta, navigata. Renato la guarda a sua volta. Uno sguardo piatto, impassibile, silenzioso. Lei non parla, se le ferma in gola le parole. Renato con la testa insiste oscillandola in direzione della finestra e le due, dopo aver preso le loro borsette, se ne vanno.
– Adesso, ragazzi, ragioniamo. L’ambulanza forse è un problema. O chiamo il medico mio, quello si prende mille euro solo per tirarsi fuori l’uccello e pisciarti sul tappeto Maurè. Ma tu i soldi li hai. Che ti vendi al primo sponsor per un sacco di grano. Oppure, ti prendi una bella ambulanza e dici che stavi giocando con la signorina o che sei caduto cucinando. Dimmi, che preferisci.
Lo chef lo guarda. Pensa che l’ironia di Renato sia il passo precedente alla violenza di quando sta per perdere il controllo perché gli si è creato un problema. È nervoso, lo vede. Vorrebbe rispondergli per evitare il peggio ma non può. Quindi alza le spalle e muove la testa come a dire: – Decidi tu.
– Io non decido un cazzo. Io qui neanche ci sono venuto. Non ci sono mai stato. E sai cosa? Me ne vado e te la vedi te con la troia il cinghiale e quel pezzo di osso che ti penzola dalla faccia.
Sagripanti salta in piedi. Il dolore della mandibola gli trafigge il cervello. Barcolla verso un piccolo mobile in marmo nero. La mandibola se la sente appesa come uno scroto. Rovista in un cassetto e prende una penna. Chiama il tuo medico, scrive. E mostra il biglietto a Renato.
– Ok.
Seduto su una sedia in attesa, Renato si sfrega le mani e schiocca la bocca a ritmo. Mauro non è un suo amico, è un suo facoltoso conoscente, borioso, pensa, cui lui trova donne più o meno costose su cui ‘sto chef montato scarica le proprie manie. Vederlo così terrorizzato lo galvanizza. E ogni tanto insieme si sono pure divertiti di brutto. Ma così che si caga sotto gli piace. Non perché abbia qualcosa contro di lui, ma gli piace il terrore. Pensa. Se lo gusta. Lo prepara, lo assapora e lo gusta. E quando capita a persone vicine, ha più sapore. Sorride. Ma lo deve aiutare. Perché lui in quella casa non deve esserci mai stato, deve ripulire ed è bene non lasciare nulla al caso.
Linda si muove provando a stirare le gambe. Con le mani dietro la schiena non può fare altro che attendere.
Dopo il medico, Renato ha chiamato pure i due albanesi. Adriàn e quell’altro di cui scorda sempre il nome con la mezza chierica sulla testa. – Portate varechina e stracci. – Gli ha detto. – Siamo da Mauro.
Saper aspettare. Ha poi pensato. Quel Papille starà aspettando il momento giusto per vendicarsi. Queste smanie egocentriche di Mauro devono finire. Tirano tutti giù nella merda.
Guarda Linda. Magari ai due albanesi una botta gliela fa dare, per il disturbo. Struscia il sedere sulla sedia infilandosi un dito grosso nel naso. Linda lo vede spingere su nella narice fino a deformare l’ingresso della cavità destra ed estrarre una grossa poltiglia giallastra. Poi con una schicchera la tira sul muro e si pulisce la mano sui pantaloni.
– Che ci fai con i documenti di Papille eh cretina? Poi che cazzo di nome è Papille.
Linda lo fissa senza muoversi, non risponde. Lui le si avvicina, e con un colpo secco tira via lo scotch dalla bocca.
– Se gridi ti taglio la gola.
Linda fa cenno di no.
– Volevo riavere mio figlio. E vi ho salvato il culo. Papille aveva rubato il vostro video.
– Ci hai salvato il culo. – Le da uno schiaffetto sul viso. – Io salvo il culo alla gente, o glielo rompo al massimo. E tu dovresti saperlo bene. – Ride.
Cala un silenzio profondo.
– Quindi. Tu e Papille. Volevi solo incastrarlo?
– Sì. – Linda esita.
– Non ti credo. Tu te la fai con quel tipo. Ti ha tirato fuori dal campo, e te lo sei scopato. E ti è piaciuto perché cerchi qualcuno che ti comprenda. Sbaglio?
– Io voglio solo mio figlio.
– Tuo figlio sta bene. Lo riavrai. Paghi e lo riavrai.
Linda guarda Renato, poi Sagripanti nell’angolo. Pensa a suo figlio. Scoppia in un pianto che le riempie il volto di chiazze rosse e di lacrime.
– E ora che cazzo ti piangi? Che neanche me lo sono tirato ancora fuori?
Linda continua a piangere. Senza più il video, non può nulla contro di loro pensa.
Suona il campanello. Due volte.
– Chi cazzo è il postino che suona due volte? ‘Sti albanesi di merda. Arrivo!
Linda singhiozza. Sagripanti si muove senza cambiare espressione, ha gli occhi scavati e il terrore li opacizza. Ha paura anche solo di toccarsi il volto.
Linda vede entrare i due albanesi e un uomo di mezza età, butterato e sovrappeso. Deve essere il medico.
– Quello è il cuoco. Sta messo male, riattaccagli la mandibola e vedi che deve fare. Voi due, – indica gli albanesi, – date una pulita di là in cucina e mandate via questo tanfo di merda.
– Io non so se riesco a riattaccare una mandibola. Mi sembra stia messo male davvero. – Il medico sembra attento a non correggere la sua cadenza sarda.
– Sei sardo, no? Datti da fare come quei testoni di merda del tuo popolo.
L’uomo annuisce. Renato si siede di nuovo sulla sedia.
–Ahh. Ahhhh.
A ogni movimento che il medico prova a far fare alle mandibole di Sagripanti, segue un gemito o un grido.
– Renà. Questo va portato all’ospedale. Gli è esplosa l’articolazione temporomandibolare. Deve vederlo un maxillofacciale.
– E tu non sei un caxillofacciale? – Renato ride.
– Renato no, lo sai.
– E io che cazzo ti passo i soldi a fare? Io ti passo i soldi per studiare e perché così non ti devo ammazzare.
Il medico non risponde, continua a sfiorare il volto dello chef. La parte inferiore della mandibola pende verso terra, sul lato si vede l’asimmetria all’altezza della giuntura con il cranio. Il medico illumina il palato, sospira.
– Deve andare all’ospedale ed essere operato.
Gli occhi di Sagripanti si spalancano ancora. Pochi giorni dopo sarebbe dovuto essere a Roma per ritirare un premio al Gambero Rosso. Chiude gli occhi.
– Mmmh. Portacelo all’ospedale. Eravate a cena insieme e uscendo è caduto. – Renato tira fuori dalla tasca un rotolo di soldi. – Sono i mille per l’intervento qui, più cinquecento per portarlo in ospedale. Vai.
Il medico prende i soldi, li conta veloce e li mette nella tasca interna della giacca.
– Maurè, caro t’è costato. Ti faccio il conto della serata che già stiamo sui cinquemila.
I due rumeni trascinano a fatica un grosso sacco nero. Insieme a loro arriva un forte odore di varechina.
– Capo. Abiamo fato.
– Devo controllare?
– No capo, tuto perfeto.
– Levatevi dalle palle.
I due albanesi abbassano la testa e si dirigono verso la porta.
– Oh, oh aspettate. Aiutate a caricare Mauro sulla macchina sua. – Indica il medico.
I tre caricano l’uomo in stato di semi shock, incapace di proferire parola se non gemiti.
Da soli Renato e Linda si guardano. Renato si allontana, si affaccia in cucina, annusa il forte odore di varechina. Del cinghiale non c’è più traccia. Lei ha smesso di piangere. Ha il viso chiaro chiazzato di rosso per via dello sforzo.
Lui torna in salone e le si avvicina.
– Siamo io e te adesso, cara. Lo vuoi rivedere tuo figlio o no?