Papille, il seguitissimo critico gastronomico fuori dagli schemi, amato dal popolo e temuto dai più grandi chef, perde l’uso della lingua e del gusto per la vendetta di uno chef stellato.
Puntate precedenti
Capitolo 1 – Panace di Mantegazza
Capitolo 4 – Mignon vegani, alici, cacao e melanzana
Capitolo 6 – Pomodoro Ciettaicale
Capitolo 9 – Zuppa di pipistrello
Capitolo 10 – Tramezzino pollo e insalata all’obitorio
Capitolo 16 – Rosmarino e basilico
Capitolo 17 – Falange di granchio oceanico
Capitolo 27 – Cucciolo di cinghiale
Capitolo 30 – Crostatina alla marmellata
Capitolo 33 – Cassette di pomodoro
Capitolo 35 – Croccante alle mandorle panna allo zabaione e erbe di campo
Capitolo 39 – Coulis di mirtilli, more e lamponi
Capitolo 40 – Riduzione d’aceto
Capitolo 41 – Carciofi sott’olio
Capitolo 43 – Sashimi di Salmone
Capitolo 44
Battuto di Fassona
Il casolare è immerso nell’ombra. Papille è alle spalle di Renato. Lo vede tenere il bambino per il collo mentre avanza. A terra a pochi metri da lui, una piccola falce da lavoro è appoggiata con il manico su una pietra. Va verso la falce, la prende e chinandosi porta avanti un piede. Schiaccia dei rami secchi. Si blocca. Tre uccelli prendono il volo.
Renato si gira: – Chi è? – Strilla. Stringe il bambino con forza. Papille fa in tempo a nascondersi, Renato vede solo un’ombra muoversi dietro il muro di cinta.
– Esci fuori stronzo.
Silenzio.
Papille non risponde. Tiene stretta la falce. La soppesa, gli sembra leggera. Respira con affanno e sente le mani sudare. Si spinge contro il muro, in attesa. È certo Renato si avvicini.
In silenzio sopprime i respiri troppo forti. Pensa a Linda. Al figlio che potrebbe vedere il corpo della madre a terra privo di vita. Respira, sente dei passi leggeri avvicinarsi. Aspetta di sentire il respiro di Renato e quello più lieve del bambino. Sente le sterpaglie spezzarsi sotto i piedi dei due. E vede sporgere la testa di Renato.
Immagina di avere la forza di piantare la punta della falce dentro l’occhio di Renato, di prendere il bambino e scappare via. Renato è molto grosso, Papille ora vede tutto il corpo sbucare da dietro il muro. Renato con un pugno colpisce il braccio teso di Papille che apre la mano e lascia scivolare la falce. Renato poi si scaglia contro di lui facendolo rovinare a terra.
– S-scap-pa. – Riesce a dire Papille al bambino prima di cadere. Renato è su di lui, il ragazzino riesce a divincolarsi e correre via.
Teso in un’espressione di rabbia, Renato guarda il bambino, poi Papille. Sceglie di restare. Sopra Papille muove le mani nella terra secca fin quando non trova la falce. E gli pianta la mezzaluna intorno al collo, immobilizzandolo.
– E ora? E adesso? Monco del cazzo.
Spinge la falce arrossandogli la pelle del collo.
Papille si divincola, muove le mani sui fianchi di Renato, lo guarda mentre lui è concentrato sulla falce con gli occhi rotondi fuori dalle orbite, le pupille sono sparite affogate nel marrone scuro degli occhi, minuscole. Poi, un coltello.
La mano sinistra di Papille sfiora un manico al lato dei pantaloni di Renato. Lo sfila in automatico. È un manico di pelle, si sente sul palmo umido. Deve essere un coltello lungo pensa. Renato non si accorge di nulla mentre Papille lo estrae e, scomodo, preme la lama nel fianco di Renato con tutta la forza che riesce a concentrare. Pochi secondi dopo Renato grida. Si rovescia al lato di Papille. I due sono a terra con gli occhi al cielo. Renato si piega dal dolore, tocca la ferita subito sotto il femore e prova a rialzarsi. Papille prende la falce da terra chiude gli occhi e la scaglia su una gamba di Renato. Si pianta su uno stinco con un rumore sordo. Renato grida di nuovo, ma si alza. Papille anche ora è in piedi.
I due si guardano.
Renato si tira via con forza la falce dallo stinco. Lancia un urlo che rimbomba nel silenzio del casolare. Papille indietreggia. Respira con affanno. Non ha paura di morire pensa, ma Renato gli sembra enorme. Insormontabile. Indietreggia mentre Renato avanza. Ha la falce in mano, il coltello Papille lo ha perso dopo averlo spinto dentro la gamba di Renato. Indietreggia ancora. Renato alza il braccio e tira un fendente nel vuoto. La gamba gli cede e cade a terra. Mentre scivola Papille lo guarda, ha il volto teso in una smorfia di odio, le labbra e il naso vicini, la fronte increspata di rughe e gli occhi piccoli che, appena perso l’equilibrio del tutto, si spalancano.
La falce cade a terra e Papille corre a prenderla. È arrugginita, sente la lama frastagliata scivolare nella mano. Arriva al manico in legno e la impugna. Renato è a terra, prima di potersi muovere Papille alza la falce in aria, pensa a Linda, attende qualche secondo e poi lo colpisce con l’arma in mezzo alle scapole. Non c’è paura, senso di colpa, spavento, non sente nulla. E lo colpisce di nuovo. Poi una terza volta. Quarta. Quinta. Sei volte. Poi sette. Renato non grida, si muove a scatti. Papille si ferma. Si inginocchia, gli prende la testa. La tira su. Immagina lo Chef proprietario dell’Accricco abusare del padre. Ricorda il video di Renato con Linda e Sagripanti. Poi gli sembra di sentire l’odore ferroso del sangue intorno al corpo senza vita di Linda. Renato ha gli occhi socchiusi, Papille lo tiene per i capelli. Tira su la testa fino a piegargli la schiena ad arco. Renato gorgoglia. Apre gli occhi, un altro rantolo, poi alza lo sguardo.
– Ti ci strozzerò con quella falce. E poi apro la gola al ragazzino, come la mamma.
Papille non risponde. Lo guarda negli occhi, stringe i capelli dietro la nuca e spinge il viso a terra con violenza. Il rumore sembra quello di una mela che cade da molto in alto, Papille sente lo scrocchiare della cartilagine del naso di Renato spaccarsi. La immagina aprirsi in due, come il collo di Linda. E preme ancora. Preme il volto a terra strusciandolo tra sassi e sterpaglie.
Lascia i capelli dopo alcuni secondi. Si alza in piedi sfinito. Sbuffa. Renato è a terra immobile, faccia in giù tra sangue e terra.
Due ferite sulle scapole sembrano più gravi delle altre. Papille intravede la carne rosa rubino, aperta. Gli torna in mente un battuto al coltello di Fassona. Carne cruda, viva. Ricorda il ristorante a Torino. Battuto, cipolla caramellata e fave di cacao. Ci andò da solo per lavoro, come sempre. Ma nel ricordo immagina di essere insieme al padre. Quel piatto aveva vita e morte in dieci centimetri pensò, a lui piacque e non lo nascose nella recensione. La freschezza della carne viva, come una ferita, rosso rubino, il marrone delle fave come la terra, l’odore umido, il nero della cipolla caramellata su cui vita e morte si affacciano. Chissà perché vede il padre? Un uomo che il nero, il suo nero, mica l’ha mai voluto guardare.
Lo visualizza seduto davanti a lui. Davanti al piatto mentre guarda la cipolla scura. Lo vede che quasi vorrebbe toccarlo, resta fermo però. Il padre non si muove, fissa la carne e poi, svanisce. Papille si muove in avanti, un movimento impercettibile ma che coinvolge tutto il corpo. E sente il vuoto.
La delicata bugia del successo che si è raccontato, davanti al corpo esanime di Renato, crolla. E capisce cosa deve fare. Come se a cena, quella volta a Torino, ci fosse stato il padre, e ci fosse stato tutte le volte in cui è mancato invece di impiegare il suo tempo altrove a piegare la testa fino a morire.
Papille si guarda alle spalle, del ragazzino non c’è traccia. Corre verso il retro del casolare fino all’entrata della cantina che ha chiuso alle spalle del gruppo di africani. La botola ora è aperta. Fuori, in silenzio, fermi, ci sono tutti i braccianti. Il più anziano tiene le spalle del bambino.
– Ha aperto la botola terrorizzato. Non vogliamo fargli del male. È libero. – Dice.
– As-spettate qui.
Papille alza una mano. E si allontana. La notte è scura, la luce della mezza luna illumina di una luce pallida parte della radura intorno al casolare. Papille si muove come un’ombra. Torna da Renato per legarlo, per sincerarsi sia morto, per sicurezza. Ma il corpo non c’è più. Papille sente un brivido drizzargli la pelle su tutto il corpo. Si guarda intorno. Muove la testa veloce, confuso. Niente. Silenzio.
Poi lo vede. Enorme. Di nuovo in piedi zoppica e si regge al muro. Ha il volto coperto di nero. Sangue misto a terra nel buio. Si muove a scatti, trascina una gamba, si lascia e barcolla. Papille indietreggia, lui si muove per rimanere in equilibrio e non cade. Sembra resistere. Ha sul corpo ferite per cui un uomo della stazza di Papille sarebbe già morto.
Indietreggia molto, veloce, fino ai braccianti. Loro sono ancora lì, fermi.
E poco dopo Renato svolta da dietro il muro di cinta e appare, ancora più malconcio illuminato dalla luna da sembrare mostruoso. Il bambino alla sua vista chiude gli occhi.
– Negri. Uccideteli, – la voce di Renato esce flebile, sembra soffocata. – Uccideteli.
Poi cade a terra e il rumore è quello di un grosso pezzo di carne sbattuto sulla paglia.
Papille si gira verso il gruppo. Guarda il ragazzino, poi negli occhi l’anziano. Lui ricambia lo sguardo, poi fa un cenno con la mano e con il viso al giovane alla sua destra di muoversi.
Il giovane scatta verso Papille che con la testa accenna un no e resta immobile. Ma il ragazzo lo supera, raggiunge Renato e si china accanto a lui. Poi lo prende per le ascelle e lo trascina verso il gruppo. Papille guarda sfilare il corpo senza mutare espressione.
Ora Renato a terra è in mezzo ai braccianti. Si muove ancora, muove le mani. Un uomo gli sferra un calcio sulla faccia, un altro sputa a terra. Papille crede di intravedere lo sputo finire sulla nuca di Renato.
– Fermi. Non davanti a lui.
L’anziano guarda il bambino e lo libera con una spinta morbida, lui d’istinto corre verso Papille e lo abbraccia.
Poi, sempre con un comando silenzioso, indica la botola. I quattro ragazzi più giovani prendono il corpo di Renato, superano il gruppo e una volta sopra le scale lo lanciano giù e poi uno a uno iniziano a scendere. Papille prende il telefono dell’albanese dalla tasca. La batteria è ancora carica. L’unico numero che conosce a memoria è quello di Nico. Inizia a comporlo, ma un fischio lo interrompe. Alza lo sguardo.
Nella penombra, l’anziano alza una mano, calmo, per ringraziarlo.
– Avevi ragione prima, scusami se non l’ho capito subito.
Papille annuisce, poi lo guarda scendere fino a che non sente il legno della botola sbattere sul ferro e chiudersi di nuovo.