Papille, il seguitissimo critico gastronomico fuori dagli schemi, amato dal popolo e temuto dai più grandi chef, perde l’uso della lingua e del gusto per la vendetta di uno chef stellato.
Puntate precedenti
Capitolo 1 – Panace di Mantegazza
Capitolo 4 – Mignon vegani, alici, cacao e melanzana
Capitolo 6 – Pomodoro Ciettaicale
Capitolo 9 – Zuppa di pipistrello
Capitolo 10 – Tramezzino pollo e insalata all’obitorio
Capitolo 16 – Rosmarino e basilico
Capitolo 17 – Falange di granchio oceanico
Capitolo 27 – Cucciolo di cinghiale
Capitolo 30 – Crostatina alla marmellata
Capitolo 33 – Cassette di pomodoro
Capitolo 35 – Croccante alle mandorle panna allo zabaione e erbe di campo
Capitolo 39
Coulis di mirtilli, more e lamponi
Renato strofina il coltello sui pantaloni e lascia cadere la donna. Il colore del sangue ha le tonalità di un coulis di mirtilli more e lamponi. Con molti lamponi. Ha gli occhi sgranati Papille. Ricorda la composta per guarnire il tortino di cioccolato fondente di quello Chef di cui ha rimosso il nome.
– La salsa deve schizzare obliqua sul piatto, diceva il cameriere, come vuole lo Chef.
Era in un ristorante da recensire. Prima del gusto, l’occhio, l’estetica vuole la sua parte. Per un tre stelle Michelin, i colori sono l’inizio del viaggio.
Rappresentano la predisposizione con cui il commensale vive il piatto. È un tunnel dritto verso il gusto. Una sanguinolenta discesa verso il cuore nero del tortino al cioccolato.
Ma perché ha questo ricordo ora, si chiede quando d’istinto muove un passo indietro e si immobilizza. Il colore è sempre stato attraente per lui. Le tonalità rosse del sangue di Linda invece lo svuotano di ogni volontà.
Davanti a quel dolce nero variegato, aggiustava il tovagliolo, muoveva le mani e si guardava intorno affilato, mentre assisteva alla pioggia di schizzi del rosso dei frutti di bosco sul piatto.
Nel video in cui recensì il ristorante, definì lo Chef un ragazzino succube del trend estetico della pasticceria odierna, per giunta narcisista e aggressivo.
Linda giace a terra. Il sangue di Linda si secca sul volto di Papille.
Ora lui è lì da solo con Linda. Ora Papille è da solo con Linda. Il video con la confessione è nelle mani di Renato. Prima di andare via, Renato si è avvicinato e gli ha chiesto, con voce calma, password e account del canale YouTube. Guarda di nuovo Linda ma non piange, non riesce a piangere è forse lo shock pensa, le mani che tremano, anche questa volta le lacrime restano nell’arido e sconfinato terreno in fondo ai suoi occhi. Non è mania di controllo, è l’impossibilità di provare dolore pieno. E vorrebbe prenderla, abbracciarla dirle che si occuperà lui di suo figlio che è colpa sua se lei è morta che lui, lui, ha luoghi in cui nulla può più germogliare e quindi vorrebbe, vorrebbe tornare indietro e non scivolare in questo caos. Lo pensa, ma oltre il tremolio della mano, non accade altro.
Vorrebbe non averla aiutata al campo, non aver deciso di vendicarsi di prendere una strada così lontana dal suo essere. Eppure quel rosso violaceo che atrofizza i muscoli, non basta a farlo piangere.
Il sangue sul pavimento si ferma, la pozza ha smesso di muoversi e la stanza silenziosa sembra immersa nel nulla. Poi, Papille va verso la porta. Si muove veloce e stringe la maniglia. La spinge e la tira, con forza la tira su e giù più volte poi aumenta batte le mani sul legno tira la maniglia fa vibrare la porta fino ad arrossarsi il viso. Dall’altra parte qualcuno blocca la porta e tira due pugni. Papille indietreggia sorpreso. Sente trafficare con la serratura dalla parte opposta. Indietreggia ancora.
Accanto al piede sente il corpo ancora caldo di Linda. La porta si apre lenta, chi apre teme un aggressione pensa Papille. Poi si sposta, per non farsi vedere. Un’ombra si affaccia silenziosa nella stanza e Papille si lancia dritto verso la figura che non ha tempo di reagire. Morde il volto di lato, all’altezza della guancia. La carne è dura, ne viene via un piccolo lembo di cui Papille non sente sapore. Stringe i denti con maggiore forza, l’uomo grida. Sembra Adrian. Stringe come se dovesse strappare un lembo di carne cruda e un tocco di pelle si lacera dal volto dell’uomo. Papille lo sputa, ha riconosciuto l’albanese che con una mano al volto grida di nuovo, mentre cerca qualcosa dietro la schiena.
Il dolore lo rallenta, Papille ha il tempo di girargli intorno. Con le mani legate davanti al ventre, riesce a prendere il grosso coltello che spunta dai pantaloni dell’uomo.
Incrocia lo sguardo dell’albanese mentre prova a girarsi, la guancia ha un solco, due lembi di pelle arrotolati grondano sangue. Ha gli occhi che si aprono terrorizzati quando la lama stretta da Papille entra all’altezza di un rene, dal fianco. L’uomo si accascia su Papille trascinandolo a terra. Passa qualche secondo. Papille spinge il corpo di Adrian e si libera. Resta qualche secondo sul pavimento a fissare il soffitto. Non pensa a nulla, guarda le travi con gli occhi svuotati di energia. Poi, si alza. Guarda Adrian senza vita e sfila il coltello dal fianco per liberarsi. La ferita sgorga sangue rosso scuro. Come quello di Linda.
Taglia la corda intorno ai polsi ed esce dalla porta nel casolare pieno di cassette di pomodori. Si guarda intorno. L’uscita ampia davanti a lui da dove immagina entrino trattori e camion, è aperta. Del bambino non c’è traccia. Esce all’esterno, intorno a lui sono solo pomodori. Non ci sono altre luci se non quelle intorno al capannone, forti da distorcere l’infinita quantità di stelle visibili da quella zona. La Mercedes dell’albanese è parcheggiata a pochi metri, ma di altre macchine non c’è traccia. Renato deve essersene andato con il bambino. La strada si snoda nella pianura, in lontananza intravede i fari di un auto allontanarsi. Renato, pensa. Guarda la Mercedes, si avvicina tira la maniglia della portiera. Chiusa.
Papille ricorda il movimento del coltello che apre il tortino di cioccolata. È lento, la punta della lama si inabissa mentre tutto intorno risplendono macchie color bosco del coulis caduto come pioggia, immagina il taglio della parte soffice e il colare della ganache all’interno.
Poi guarda l’albanese dentro al casolare. Tutto è immerso nel silenzio. L’illuminazione continua a offuscare il cielo di stelle, la Mercedes è immobile e le luci della macchina in lontananza spariscono.
Papille si guarda intorno, di nuovo, poi guarda il corpo senza vita e con un gesto di disprezzo del volto, si avvicina. Gli fruga le tasche e tra qualche euro, un pacchetto di sigarette e il cellulare, trova le chiavi della macchina.
Prende anche il telefono sperando non sia bloccato. Prova a toccarlo, è un telefono con pin o con riconoscimento facciale.
Guarda l’albanese. Il volto insanguinato ha bianchi solo gli occhi vitrei, la pelle è pallida dove non è rossa di sangue.
Prende il telefono e lo mette davanti al volto dell’uomo.
Aspetta qualche secondo. Guarda dentro al capannone. Aspetta. Ma il sangue sul viso e la ferita non lasciano sbloccare il telefono.
Allora si alza, torna dentro e prende il secchio con cui si era lavato per il video. Dalla porticina della stanza, intravede Linda riversa a terra. Sente il cuore pesare, ma distoglie subito lo sguardo e con il secchio torna dall’albanese. Gli strappa la camicia, la bagna e pulisce il viso. Pensa al piatto in cui le macchie di coulis di lampone non vanno via con la piccola forchetta.
Il sangue si mischia all’acqua e cola dai lati del viso.
Dopo averlo pulito, prova di nuovo il telefono che si sblocca. La prima cosa è cambiare il Pin. Sceglie la sua data di nascita utilizzando di nuovo il riconoscimento facciale.
Apre la chat di whatsapp e trova Renatino. Scrive un messaggio.
@adrian scrive: – C’è un problema, devi tornare.
Papille ripone il telefono e si muove per perlustrare il perimetro del casolare. Alle spalle dell’entrata, trova una piccola botola chiusa con una catena. Il lucchetto serrato e la catena sembrano resistenti, grossi.
Prova a tirare la botola per la grossa maniglia in legno e vedere se cede, ma oltre un forte rumore, non accade altro.
Da dentro arrivano dei gemiti. Gemiti e gorgoglii.
Avvicina l’orecchio quando il telefono in tasca suona e lo distrae. È Renato. Papille riflette. Non può rispondere, lo riconoscerebbe subito.
Lascia squillare finché non smette, poi arriva un messaggio.
Prova di nuovo a tirare la botola, sente altri lamenti ma non si apre.
@renatino scrive: – che cazzo vuoi? Sono in strada risolvitela da solo.
Papille decide spezzare la catena della botola. Forse il ragazzino è lì, difficile ma vale tentare. Pensa. Torna nel capannone per trovare un attrezzo, qualcosa di robusto da usare, quando dopo pochi minuti segue un altro messaggio.
@renato scrive: – Rispondi
Allora, Papille rischia.
@adrian scrive: devi tornare, lo stronzo è scapato. Io sono legato con stracio in bocca ma lui non ha trovato mio cellulare.
Vediamo cosa succede. Deve pensare a un piano.
Dietro le cassette di pomodori trova alcuni tubi di ferro. Hanno il diametro di non più di una canna da pesca, così ne prende uno per provare a usarlo.
Non arriva più alcun rumore dalla botola, forse, pensa, è stata suggestione. Posiziona il tubo tra la catena, subito sotto il lucchetto e il portellone di legno della botola. Inizia a fare leva, a spingere finché la catena non si tira del tutto. È robusta, ma dopo qualche tentativo, si spezza.
In quel momento il telefono suona, arriva un messaggio di Renato.