Papille, il seguitissimo critico gastronomico fuori dagli schemi, amato dal popolo e temuto dai più grandi chef, perde l’uso della lingua e del gusto per la vendetta di uno chef stellato.
Puntate precedenti
Capitolo 1 – Panace di Mantegazza
Capitolo 4 – Mignon vegani, alici, cacao e melanzana
Capitolo 6 – Pomodoro Ciettaicale
Capitolo 9 – Zuppa di pipistrello
Capitolo 10 – Tramezzino pollo e insalata all’obitorio
Capitolo 16 – Rosmarino e basilico
Capitolo 17 – Falange di granchio oceanico
Capitolo 27 – Cucciolo di cinghiale
Capitolo 30 – Crostatina alla marmellata
Capitolo 33 – Cassette di pomodoro
Capitolo 35 – Croccante alle mandorle panna allo zabaione e erbe di campo
Capitolo 37
Ricci di mare
Aprire entrambi gli occhi gonfi, con il viso su cui sembra sia passato un treno, dà la sensazione che qualcuno stia strusciando dei ricci di mare sulla pelle.
La garza sul viso di Sagripanti gratta, sul naso, sulla fronte, ma non sente nulla sul mento e sulla bocca. Prova ad alzarsi a fatica. Si tira via la flebo e i tubicini con gli aghi infilati nella pelle.
Sforzandosi riesce ad alzarsi. Cerca lo specchio in bagno. Accende la luce e vede riflesso il viso avvolto nella garza. Gli occhi non riconoscono la fisionomia classica, percepiscono un’anomalia, un pezzo che manca. Si tocca il volto, si strappa la garza facendola girare intorno alla testa.
Scopre prima i capelli, poi la fronte, poi gli occhi gonfi e arrossati con violacee occhiaie intorno e il setto nasale. Poi libera il labbro superiore e da lì iniziano i denti dell’arcata superiore. Ma la garza finisce e l’ultimo lembo gli rimane in mano. Non c’è più nulla. L’arcata inferiore dei denti, il labbro inferiore e la mandibola e il mento non ci sono più. La pelle è cucita alla meno peggio all’altezza della gola mentre la lingua rosata è mozzata e piena di cicatrici dure.
Muove il moncone, sembra un grosso lombrico in fin di vita. Indietreggia quando allo specchio vede nitida la faccia di Papille. Lancia un grido che rende ancora più orribile il suo volto. Tira un pugno sul vetro che esplode. E si sveglia.
L’ago della flebo nella vena, le garze sul viso. Il dolore che si irradia per tutto il volto fino ai muscoli del collo.
Si tocca. Fronte, occhi, naso, la garza morbida gratta i polpastrelli, labbro superiore labbro inferiore, mento, collo. Al contatto con il mento, il dolore pulsa sotto la pelle.
Ma c’è tutto, pensa. Si alza lento, di nuovo come nel sogno è davanti allo specchio del bagno.
Sfila la garza. Poco sotto al naso rallenta, il labbro superiore è livido, gonfio, i denti sono al loro posto, respira, anche quelli inferiori sono lì. La toglie del tutto e il mento appuntito è al suo posto, insieme alla mandibola. I lati della bocca sono cuciti, forse per evitare troppo peso prima che le ferite non siano guarite, pensa. Due grosse cicatrici partono dalle estremità delle labbra fino a poco sotto le orecchie, segue con le dita le garze orizzontali che le coprono e la zona pulsa di dolore.
Prova a parlare, a emettere un qualsiasi suono ma il dolore è forte, punge tutto il volto e la mandibola e i muscoli non si muovono.
Ha gli occhi fermi verso l’alto. Il soffitto bianco ha chiazze opache di muffa coperte alla meno peggio. Prova a muovere il corpo che risponde ancora intorpidito dall’anestesia. Sarà per via dell’anestesia che la bocca non si muove.
Prova a tirare le spalle più su. Il dolore è un coltello dentro il cervello fino a tutta la bocca.
D’istinto digrigna i denti, di rabbia. In quel momento le lacrime arrivano subito agli occhi che quasi perde conoscenza per il male che prova. Parte dalla mandibola, immobile, dalla giuntura tra la parte bassa e quella alta fino intorno a tutta la testa. Trema. Ci mette qualche minuto per smettere di desiderare la morte.
Con cautela si guarda intorno, è mattina ormai. Il sole sembra alto. La televisione è accesa. C’è il telegiornale, si vede il parlamento e una massa informe di gente con le mani alzate e con la bocca aperta e chiusa. Si ipnotizza qualche istante finché non bussano alla porta. Non si muove questa volta, ogni movimento è dolore puro, limpido, che pensa per quanto affascinante sia il dolore in alcune circostanze, così è troppo.
Entrano un uomo e una donna con camice bianco.
– La prego non si muova e non saluti. Sono il primario che l’ha operata e lei è la dottoressa Nari, psicoterapeuta del reparto.
Sagripanti muove il volto con cautela, intanto i parlamentari si sono seduti forse perché richiamati all’ordine.
– Spero si senta meglio dall’anestesia. È bene sia già sveglio. Il post operatorio è fondamentale.
Il primario guarda la dottoressa che annuisce.
Sagripanti vorrebbe chiedere come sia andata l’operazione o perché la mandibola non risponde.
– Signor Sagripanti, sono qui per spiegarle la situazione. Lei ha subito un’operazione di 7 ore.
Il primario interrompe la donna.
– Le abbiamo ricostruito entrambi i condili e i relativi colli. Sono i punti di giunzione della zona mandibolare inferiore con quella superiore. I punti di sutura ai lati della bocca che le ho messo aiutano a evitare il collasso sub mandibolare.
Si tocca il volto. Sagripanti ha lievi tremolii alle mani. Gli occhi come magneti sui due medici cercano di carpire in anticipo notizie drammatiche.
– Le dicevo, – continua la dottoressa, – che è stata un’operazione lunga e delicata. Il professore le ha ricostruito la parte ossea ricucendo nei punti opportuni la pelle. Ma non ha potuto fare nulla per il nervo facciale. E il muscolo mentale o fiocco di mento è il tessuto che ha riportato più danni dopo il nervo.
Sagripanti ha un sussulto strozzato in gola. Non ha idea di cosa sia quel muscolo ma il pensiero di qualcosa che non sia andato lo spaventa, con la mano si strofina le gambe.
– Il muscolo mentale è un importante muscolo per la mimica facciale. Non c’è stato niente da fare. E io sono qui per spiegarle cosa comporterà questa deficienza prima che si guardi allo specchio. Comprendendo i rischi corsi, capirà che le è andata bene.
Lo Chef è immobile, sdraiato con ancora i vestiti della sera prima. Non c’è nessuno là fuori pensa, persino quel cane dell’albanese lo ha sganciato lì e si è guardato bene dal restare.
– Mauro giusto? – chiede il professore, – Mauro non si muova ma ci ascolti, non guardi altrove. È importante ascolti bene quanto la dottoressa abbia da dirle.
Sagripanti non vuole sentire. La mimica facciale la mandibola la mascella, i nervi; il suo viso la faccia che vende libri e che finirà a Master Chef guarirà.
Ma evita di muoversi. Muove solo gli occhi di nuovo che tornano sul soffitto e tra il bianco e le opache chiazze di muffa intuisce di non poter muovere nulla del viso, non perché non voglia.
– Per semplificare, – continua il primario, – questo nervo contiene fibre motrici somatiche, insomma muove i muscoli mimici che determinano l’espressività, ma senza l’input del nervo restano inattivi. – La dottoressa vicino a lui respira.
– L’urto, la violenza, è stato troppo forte. Il muscolo mentale all’altezza del mento è stato asportato, le rimarrà una piccola cicatrice, ma per il nervo non c’è stato niente da fare. Sono incidenti classici per i motociclisti. Io le ho ricostruito tutto, l’operazione in parte è stata un successo.
I due attendono qualche secondo un movimento, un cenno di una mano.
– Andiamo avanti? – chiede la dottoressa.
Sagripanti con la mano fa cenno di no, ed esorta i due a uscire.
Muove l’altro braccio sul comodino e sente il telecomando.
– Prima di andare, torniamo con più calma, è necessario lei non faccia movimenti. Se ha fame o sete la flebo per ora farà il suo, poi alle infermiere verranno date indicazioni su come nutrirla nei primi giorni.
– Vuole resti solo la dottoressa?
Il cuoco, con gli occhi vitrei e il telecomando in mano, insiste nel chiedere ai due medici di uscire muovendo il braccio.
Alza il volume. Lo alza al massimo. Lo alza così tanto da silenziare la rabbia. Non scivola in nessun pensiero, guarda solo la televisione a volume alto, altissimo pensa.
E non se ne vergogna, e se verrà qualcuno si fotterà, pensa.
La voce stridula sud americana della grossa signora in televisione, che deve essere il servizio successivo a quello sulla politica, lo distrae.
– Papille es un mostro. Papille es un mostro. Scusate por mio italiano. Como, ehm come un ladro, es entrato dove yo laboro. E me amenazó, amenazò de morte e picchiata por rubare le cose del dottore dove trabajo. Mostro.
Sagripanti prova ancora ad alzare il volume già al massimo che non aumenta.
In sovrimpressione legge “Alfonsina Rocho Suarez, vittima del noto critico gastronomico Papille.”