Papille: Capitolo 36 – Ossa di Pollo

Questi uomini sono tutti nel lato B, affogano nel nero del loro animo e volerli disintegrare spinge Papille ad immergersi nella loro melma.

Papille, il seguitissimo critico gastronomico fuori dagli schemi, amato dal popolo e temuto dai più grandi chef, perde l’uso della lingua e del gusto per la vendetta di uno chef stellato.

Puntate precedenti

Capitolo 1 – Panace di Mantegazza

Capitolo 2 – Cappio

Capitolo 3 – Ferite

Capitolo 4 – Mignon vegani, alici, cacao e melanzana

Capitolo 5 – Strazzata lucana

Capitolo 6 – Pomodoro Ciettaicale

Capitolo 7 – Battuto d’occhio

Capitolo 8 – Sardine

Capitolo 9 – Zuppa di pipistrello

Capitolo 10 – Tramezzino pollo e insalata all’obitorio

Capitolo 11 – Lampare

Capitolo 12 – Pesce fresco

Capitolo 13 – Entrée

Capitolo 14 – Mani nel sacco

Capitolo 15 – Pinzimonio

Capitolo 16 – Rosmarino e basilico

Capitolo 17 – Falange di granchio oceanico

Capitolo 19 – Paella

Capitolo 20 – Menabrea

Capitolo 21 – Latte materno

Capitolo 22 – Mela

Capitolo 23 – Sangria

Capitolo 24 – Peperoncino

Capitolo 25 – Crema di caffè

Capitolo 26 – Cuore di maiale

Capitolo 27 – Cucciolo di cinghiale

Capitolo 28 – Bacon e uova

Capitolo 29 – Carne o pesce?

Capitolo 30 – Crostatina alla marmellata

Capitolo 31 – Foie gras

Capitolo 32 – Crackers

Capitolo 33 – Cassette di pomodoro

Capitolo 34 – Totano crudo

Capitolo 35 – Croccante alle mandorle panna allo zabaione e erbe di campo

Capitolo 36

Ossa di Pollo

Il capannone è immerso nel silenzio delle ultime ore della notte. All’interno della piccola cella ricavata da un vecchio bagno in disuso, Papille siede con la schiena che preme su travi di legno grezzo.

Guarda l’uomo senza braccio. Riconosce il tipo che la prima notte gridava al campo di Tolve. Ora si lamenta a malapena. L’arto amputato ha la garza arrotolata sulla carne viva. Papille distoglie lo sguardo, l’indiano cerca aiuto senza poter gridare, muovendo veloce gli occhi neri.

Lì accanto, addormentato e sporco, c’è un bambino. Ha la testa riversa sulle ginocchia, una caviglia gonfia e rossa sporge dalla tuta che indossa. Il suo respiro è l’unico rumore costante all’interno della stanza.

Ha gli occhi di Linda. Pensa Papille. Davvero la linea macabra invisibile che confina l’animo di Sagripanti, comprende anche il rapimento di un bambino?

Cucinare è torbido. Cuocere, rompere ossa, insaporire cadaveri di animali trova nell’inconscio dell’essere umano un terreno ardimentoso.

L’uomo è in grado di costruire dentro di sé luoghi macabri. Dalla sopravvivenza dei nostri avi ad oggi, abbiamo reso normale cucinare. Ma questa violenza accettata, normalizzata, non basta a nutrire anime come quelle di Sagripanti.

Il bambino si muove. L’uomo con il braccio amputato si lamenta, Papille ha l’impressione stia pregando.

Poi si guarda intorno. La casupola non ha via d’uscita, nessun oggetto utile per difendersi. In quel momento uno degli albanesi apre la porta.

Il bambino si tira su in piedi come un ramo spinto dal vento. Ha gli occhi gonfi.

L’albanese si pianta nel mezzo della stanza. A Papille ricorda uno Chef stellato mentre in cucina, o in caserma che tanto ormai di differenze ce ne sono poche, terrorizza la brigata di cuochi intenti a cucinare. Il rispetto figlio della paura di una cucina si taglia allo stesso modo della tensione generata dall’albanese lì piantato sulla porta. Fissa il bambino, lo stagista di turno. Che però a differenza dello stagista, masochista conclamato, il bambino non sa perché sia lì.

Un rumore di pneumatici dall’esterno distrae Papille. L’albanese tira fuori un grosso coltello, la lama affilata è lunga quanto il palmo di una mano. È come se volesse controllare un piatto prima di servirlo.

Si china sul bambino gli tira su la testa e posiziona il coltello all’altezza del collo. Il bambino non piange. Papille nota dagli occhi che le lacrime le ha finite.

– Ora arriva Renato. Ti ho detto arriva Renato e tu fai quello che dice.

Lato A o Lato B. Ricorda Papille.

Guarda il bambino poi l’albanese. Quando la macchina si ferma, l’albanese libera il bambino.

Papille resta in silenzio.

– Ecco Renatino. Ti convince lui adesso su cosa da fare.

I due si guardano. Restano poi in silenzio mentre il bambino sembra aver perso i sensi. Dalla porta entra Renato.

In silenzio. Papille vede l’albanese abbassare gli occhi, come un soufflé che si sgonfia. L’indiano si appiattisce sul muro, ha il volto che si trasforma in una maschera di terrore.

– Albanese di merda. Cazzo fai con quel ragazzino? Sottosviluppato di merda. Col negretto te la devi prendere.

L’albanese lascia il piccolo, si stira la schiena senza alzare lo sguardo. Il ragazzino si accascia.

– Papille, finalmente. Come dicono nei film? La fama ti precede. Certo sei ridotto maluccio eh.

Papille lo fissa. Ha gli occhi calmi, vorrebbe ucciderlo. Prova lo stesso disinteresse verso la vita di quest’uomo del distacco con cui uno Chef seziona il corpo di un animale.

– Insomma. Papille. Facciamo un bel video in cui scagioniamo il buon Mauro ok? Ti piazzi davanti ai tuoi seguaci che si fanno le seghe quando insulti i cuochi e questa volta dici per bene quello che ti sto dicendo io. Spieghi bene bene che Mauro Sagripanti non voleva avvelenarti quella sera, ma tu hai scoperto a cena da lui l’allergia a un’ingrediente che non avevi mai assaggiato. Una spezia, inventati una cazzo di allergia insomma. E dici anche che quelle quattro merdate che cucina erano pure buone. Così nessuno si fa male. Mauro è emotivo, ma è un buon uomo. Ha i suoi vizietti. Tu fai un bel video e il negretto lì non muore. Che tanto da quando non ha un braccio parla troppo. La lingua doveva amputarsi.

L’albanese annuisce, accenna un sorriso finto, costruito. Ha paura di Renato, lo vede.

– N-on far-ò ness-sun video.

– Ah no? Io credo invece che farai un bellissimo video. E inoltre confesserai se hai materiale su Mauro che potrebbe farmi arrabbiare. O che ne so, su di me. La tua amica Linda, la troietta mamma di questo ragazzino, l’ho convinta con un po’ di crudo. – Dopo un istante di silenzio, Renato ride.

Linda è viva, era con loro. Pensa Papille.

Il bambino sembra riprendersi.

– N-on farò nes-sun video. Piut-tosto tagliala a me l-la gola.

Renato abbassa gli occhi. Respira. Guarda l’albanese e gli prende il coltello. Va verso l’indiano che ha gli occhi sgranati, aperti, rotondi e neri.

Renato pur se grosso, pesante, si muove veloce. Spinge il ginocchio sul petto dell’uomo immobilizzandolo e si china.

– Adrian, di un numero.

L’albanese lo guarda, senza risposta pronta.

– Dì un cazzo di numero, da uno a cinque. Un numero, testa di cazzo.

– Tre. – Risponde.

E Renato prende il braccio dell’uomo a terra che si dimena. Lo immobilizza, lui stringe l’unica mano in un pugno, la pelle è bianca dallo sforzo. Papille guarda in silenzio. Lato B. Non farà alcun video, non dopo tutto quello che ha vissuto.

Renato riesce ad aprire la mano dell’indiano che si dimena. Guarda Papille che non parla. Con il coltello, recide tre dita dell’uomo. Lo fa senza esercitare violenza, è un gesto forte, meccanico che la vittima non ha tempo di capire. Passa qualche istante prima che arrivi il dolore. Il dolore vero, quello enorme, insostenibile ci mette qualche istante ad arrivare. L’uomo grida e poi sviene.

– Ora, – grida Renato per sovrastare le urla, – ne restano due. Conto fino a due, tu mi confermi che farai il video e io non taglio anulare e mignolo di questo qua.

C’è una linea che separa il lato A dal lato B. Superata, finiti nell’altro lato, tutto ha un senso diverso. E nel lato B, questo è sostenibile. Come per un cuoco tranciare le ossa di un pollo morto, sgozzare un maiale e appenderlo e insaporirlo, qui, in questo luogo, per Papille è possibile lasciare che le cose vadano come devono andare.

– Uno, due. – Grida Renato.

Al silenzio che segue, Renato guarda Papille e taglia anche le altre due dita.

– Portalo via, – dice all’albanese spingendo l’uomo inerme. – E se strilla troppo quando si sveglia ammazzalo che senza braccia e dita non ci serve a niente.

Qual è la differenza tra Renato, lui, è uno Chef, pensa. Tutti e tre hanno luoghi macabri. È il salto nel Lato B la differenza, dove l’ego incontra il nero. Papille non prova niente per quell’indiano. Se tornasse indietro, forse, non salverebbe Linda dall’aggressione al campo a Tolve.

Questi uomini sono tutti nel lato B, affogano nel nero del loro animo e volerli disintegrare spinge Papille a immergersi nella loro melma. Lo sente. Sente la disponibilità a tutto pur di rovinarli.

Cela un sorriso.

Si alza in piedi. Il fisico magro, elegante è solcato dalla stanchezza tra le pieghe della pelle, negli occhi. La fame.

Pensa al rumore delle ossa di pollo che si spezzano, alle dita dell’uomo, ai pomodori macchiati di sangue nei piatti di Chef di tutta Italia.

Si avvicina a Renato.

–Uc-cidimi. Uc-cidimi e tut-to quel-lo che ho document-tato s-sarà inviat-to all-la s-stampa.

I muscoli del volto di Renato sembrano corteccia dura e levigata dal tempo, non si muovono. Gli occhi piccoli fissi su Papille.

Ripone il coltello, fa un passo indietro. Guarda Papille, poi l’albanese.

– Il nostro ospite famoso è meno disponibile del previsto. – Poi si sposta verso il bambino. Si china. Lo guarda, gli guarda le mani piccole e bianche senza peli. Resta su di lui, poi fa un cenno con la testa all’albanese: – Adrian, scegli un altro numero.

Condividi su Facebook

Andrea Fassi

Pronipote del fondatore del Palazzo del Freddo, Andrea rappresenta la quinta generazione della famiglia Fassi. Si laurea in Scienze Politiche e Relazioni Internazionali coltivando l’interesse per la scrittura. Prima di seguire la passione di famiglia, gira il mondo ricoprendo diversi ruoli nel settore della ristorazione ed entrando in contatto con culture lontane. Cresciuto con il gelato nel sangue, ama applicare le sue esperienze di viaggiatore alla produzione di gusti rari e sperimentali che propone durante showcooking e corsi al Palazzo del Freddo. Ritorna al passato dando spazio al valore dell’intuito invece dei rigidi schemi matematici in cui spesso oggi è racchiuso il mondo del gelato. Combina la passione per il laboratorio con il controllo di gestione: è l’unico responsabile del Palazzo del Freddo in qualità di Amministratore Delegato e segue la produzione dei locali esteri in franchising dell’azienda. In costante aggiornamento, ha conseguito il Master del Sole 24 Ore in Food and Beverage Management. La passione per la lettura e la scrittura lo porta alla fondazione della Scuola di scrittura Genius nel 2019 insieme a Paolo Restuccia, Lucia Pappalardo, Luigi Annibaldi e ad altri editor e scrittori. Premiato al concorso “Bukowsky” per il racconto “La macchina del giovane Saleri”, riceve il primo premio al concorso “Esquilino” per il racconto “Osso di Seppia” e due menzioni speciali nei rispettivi concorsi “Premio città di Latina” e “Concorso Mario Berrino”. Il suo racconto “Quando smette di piovere”, dedicato alla compagna, viene scelto tra i migliori racconti al concorso “Michelangelo Buonarroti”. Ogni martedì segue la sua rubrica per la scuola Genius in cui propone racconti brevi, pagine scelte sui sensi e aneddoti dietro le materie prime di tutto il mondo. Per la testata “Il cielo Sopra Esquilino” segue la rubrica “Esquisito” e ha collaborato con il sito web “La cucina italiana” scrivendo di gelato. Docente Genius di scrittura sensoriale, organizza con gli altri insegnanti “Il gusto per le storie”, cena evento di degustazione di gelato in cui le portate si ispirano a libri e film.

Tag

Potrebbe piacerti anche...

Dentro la lampada

Zio Alberto

Cosetta incontra inaspettatamente un lontano parente che aveva conosciuto solo nei racconti dei suoi familiari.

Leggi Tutto
Apri la chat
Dubbi? Chatta con noi
Ciao! Scrivimi un messaggio per dirmi come posso aiutarti :)