Nei capitoli precedenti:
- Capitolo 1 – Il sorpasso
- Capitolo 2 – Frontiere
- Capitolo 3 – In caso di morte
- Capitolo 4 – Terra di nessuno
- Capitolo 5 – Dentro
- Capitolo 6 – Bestialità
- Capitolo 7 – Droni
- Capitolo 8 – Sirene
- Capitolo 9 – Odessa
- Capitolo 10 – Bilanci
- Capitolo 11 – Mansplaining
- Capitolo 12 – Rete di sicurezza
- Capitolo 13 – Cibo da ridere, cibo da piangere
- Capitolo 14 – Maglie
- Capitolo 15 – Il Gambero Rotto
- Capitolo 16 – Suoni
- Capitolo 17 – Taxi
- Capitolo 18 – Fame
- Capitolo 19 – Congelare
- Capitolo 20 – Punto di vista
- Capitolo 21 – Colori
- Capitolo 22 – V
- Capitolo 23 – Ragni
- Capitolo 24 – Cani
- Capitolo 25 – Parole
- Capitolo 26 – Fotografia
Ventisettesimo capitolo – Silenzi
Australia 2009
Il mio aereo per Roma purtroppo atterrerà tra due giorni a Fiumicino. Due giorni, un buon tempo per capire se sto facendo una cazzata. Scalo a Singapore, città che ho già visto all’andata, e nessuno che verrà prendermi a Fiumicino. Tornare è scomodo. Ad aspettarmi ci sarà la laurea specialistica. Lei aspetta lì, come un traguardo necessario di un corridore che gareggia in acqua. Non so perché mi sia laureato in Scienze Politiche, credo sia una questione di inerzia. Io galleggio nel vuoto, appeso solo a un cordone ombelicale perenne in grado di nutrirmi: le donne. Davanti a una donna io posso diventare un astronauta, un archeologo, un sommozzatore, un circense, un diplomatico. Se esistesse il mestiere dell’amore inteso come lo intendo io, sarei milionario, altro che laurea.
Mi sistemo lo zaino, con questo sulle spalle sono arrivato mesi e mesi fa e con questo riparto oggi; mi ha accompagnato Melissa, di cui posso dire con cognizione di causa di essere innamorato. Ha gli occhi arrossati, io cerco di non pensarci.
– Mi mancherai. – Dico e la accarezzo – Ci sentiremo. Torno, te lo prometto.
– Non tornerai più.
– Perché lo dici?
Mentre parla, sospira. Ho l’impressione che il suo volto muti. Incredibilmente noto i lineamenti sformarsi e ammorbidirsi, sbatto gli occhi, la sua faccia ora somiglia a Caterina, una ragazza con cui sono uscito paio di volte prima di partire per l’Australia. La pelle di Melissa si schiarisce e un liquido azzurro le tinge gli occhi marroni di blu chiaro. Mi gratto la faccia.
– Non tornerai più perché sei uno stronzo.
– Caterina?!?
Le allungo una mano sulla guancia per toccarla, lei la prende e la bacia.
– Caterina? Chi è Caterina? Andrea, stai bene?
– Niente, per un attimo sembravi…
Melissa ha di nuovo il suo volto rotondo con la pelle liscia e morbida.
– Ma stai bene? Resta qui con me. Io e papà ti troviamo un lavoro e ti sistemi qui. Lui ti vuole bene, ti aiuterà.
– Lo sai che non posso. Devo finire l’università, non posso sparire così da Roma. Ti ho detto che tornerò.
Lei abbassa gli occhi. Poi mi guarda.
– Tu non tornerai. Non dirmi una bugia. Sei mai tornato da me? Mi hai mai cercata dopo quella notte lì, sì, quella. Tu sei una merda e merda resterai.
– Ma…
Faccio un passo indietro, ora il suo volto è scuro, gli occhi sfumano nel verde, i denti grandi e bianchi si perlano di una tonalità ambrata, Giulia?! Giulia studia Economia nella mia stessa università a Roma. Una sera, dopo aver accompagnato a casa Caterina, ho raggiunto un gruppo di amici. Lei era lì. Era una sera d’estate e me la presentarono. Passammo la notte insieme. Sbatto gli occhi. Ma come è possibile?
– Sei una merda. Una merda.
Gli occhi di Giulia si scuriscono, i capelli sfumano in tonalità rosse e poi di nuovo castani. Indietreggio ancora.
– Andrea, stai bene?
Mi strizzo il viso dentro nel palmo della mano. Melissa mi prende il collo sfiorandomi appena, mi accarezza le guance. È lei di nuovo. Le tocco il naso e le labbra e i fianchi, ha l’odore dolce e la pelle olivastra, sento il suo profumo alla pesca sulle mani.
– Ti amo. – Mi dice.
– Lo so. – Le dico.
– No, non lo sai e comunque non si risponde “lo so” a un “ti amo” – Sorride, – Io invece so che non ti rivedrò. Basta starti vicino per capire che non sarà così. Non è nella tua natura. Quindi devi farmi una promessa.
– Basta starmi vicino per capire che non mi rivedrai? – Rispondo tossendo.
Il suo viso è quello di sempre: due occhi grandi, rotondi con le palpebre colorate da un velo di trucco rosato, le labbra carnose. La bacio e lei si lascia baciare. La tocco per sincerarmi sia sempre lei.
– Stai fermo, aspetta. È importante, fammi spiegare.
Mi spinge via e le labbra si scollano.
– Tra poco devo imbarcarmi…
– Lo so. E mi uccide. Ma promettimi una cosa.
– Cosa?
– Che ti impiccherai appena atterrato a Roma. Tiri su una bella corda, ci ficchi dentro il collo e dai un calcio dritto sulla sedia. E io pregherò che l’osso faccia rumore.
– Ma io…
Indietreggio di nuovo, perdo l’equilibrio per via dello zaino pesante e a malapena resto in piedi.
Il suo viso ora è quello di Roberta. La prima fidanzata che ho avuto.
– Roby, tu… tu non puoi dirmi niente, cazzo. E lo sai. Lo sai.
Sento la gola seccarsi e stringersi e le mani percorse da brividi fino alla schiena. Non respiro. Le punto il dito dritto sul viso.
– Niente, tu non puoi dirmi niente. Siamo stati insieme un anno e non potevamo andare oltre.
– È vero, ma è per tutte quelle dopo che se ti ammazzassi non faresti un soldo di danno.
– Ho ventitré anni Robè, ventitré.
– Sì, e il mio ricordo è stato sepolto già da qualche decina di ragazze che ancora ti aspettano, prendi la strada giusta, Andrea, ti ricordi quanto bene ci volevamo?
Sento strattonarmi.
– Andrea, siediti.
Il volto di Melissa sorridente me lo ritrovo di nuovo davanti, mi stringe le braccia intorno ai fianchi,
– Io so la fatica che fai.
Sento freddo, sentire freddo in Australia è pressoché impossibile. Tremo appena, mi guardo intorno.
– Andrea, per favore siediti.
Ricambio l’abbraccio, la stringo forte, sento la sua pelle sulla mia, le luci dell’aeroporto le illuminano i capelli castani.
– Aspetta però, ora stai calmo un attimo. Fatti dire questa cosa, per favore.
– Ok, scusa, scusa, dimmi. Ci sono.
– Promettimi che…
– Giuro che torno!
– Smettila. Ascoltami. Promettimi che quando sceglierai davvero qualcuno, sarà qualcuno che ti guarda come ti guardo io, che vedrà il fondo, che smaschererà l’illusione.
– Illusione?
– L’illusione, sì.
– Melissa, non ti seguo.
Fa per rispondermi ma apre la bocca più del normale, i denti ingialliti, le labbra secche, la pelle sembra squamarsi.
– Illudi te stesso, sai? – La voce ora è rauca – Non c’è scelta giusta per te, non esiste scelta possibile per uno come te. E qualche poveretta ci crede, tante ci crederanno; cadranno giù nel pozzo nascosto dietro i tuoi occhi, giù in un vuoto senza fondo. Colpa loro eh, ma io ti conosco, io so cosa diventerai, cosa farai dell’amore, quanto dolore causerai a te stesso e agli altri. L’amore è una cosa seria, una cosa grande, e tu ci giocherai perché sei un bambino intrappolato che si stufa dei giocattoli e li rompe.
I capelli iniziano a caderle, il volto dalla pelle pallida si ingrigisce.
Metto le mani davanti al viso e resto immobile. Respiro veloce mentre del sudore freddo sui palmi di entrambe le mani si appiccica sulla pelle del volto. Che cazzo mi sta succedendo?
Tolgo le mani dal viso, della donna che sta diventando una mummia ora vedo solo la sagoma, ha un corpo minuto e mi sembra sia nuda. Lei avanza, il volto le cambia, riconosco diverse ragazze con cui ho avuto a che fare.
– I tuoi “ti amo” valgono zero. Zero.
L’essere si avvicina, ha i contorni sfumati.
Io resto fermo. Poi la sento ridere, più che una risata è lo stridere di un animale, poi un suono di fondo, a malapena percettibile. Poi silenzio.
– Senti, io ti riporto a casa.
– Melissa, oddio, dove sono?
Mi guardo intorno.
Della donna nessuna traccia.
– Andrea.
– Continua, Melissa, ti prego. Sto bene, è stato solo un momento.
Sento il sudore freddo sotto la maglia, ma della donna non c’è più traccia.
Mi appoggio su una ringhiera al mio fianco, mi arriva il suono di una grossa macchina del caffè, devono aver attivato il braccetto della vaporiera per montare il latte, chissà se è Starbuck’s.
Muovo la testa come per scrollarmi di dosso i suoni intorno e tutte le immagini viste finora.
– Sai perché ti amo?
– No, Mel, non lo so.
– Perché vedo oltre le tue parole. Le parole per te sono come il fucile per il soldato che ammazza Piero, quello della canzone che mi hai fatto sentire, di quel cantante italiano che ti piace, come si chiama?
– De André?
– Sì, ecco, De André.
– “La guerra di Piero”. Bella.
– Sì, bella. Le tue parole sono come quel fucile; sono più veloci di tutto il resto, precise, mortali, superano il tempo dell’emozione e per difesa uccidono l’amore e tu resti innamorato solo di quelle, neanche te ne accorgi.
– Di quelle?
– Sì, delle tue parole.
Sento la gola stringersi e seccarsi. Melissa mi stringe le mani.
– Ma c’è un “ma”, Andrea. Ti ricordi quella notte sulla spiaggia, quando mi hai raccontato che tu per riempire il vuoto parli, racconti, cerchi di creare una connessione?
– Dici che a ventitré anni sia un pensiero da vecchio saggio? Da piccolo, ricordo, mi dicevano fossi un bambino con l’animo antico di un saggio, cioè io stavo buono e zitto per non urtare la fragilità che avevo intorno e il massimo che mi veniva ripetuto era che fossi un vecchi saggio; quindi ero spesso silenzioso e riflessivo. Il punto è che alla fine dentro di me qualcosa si è rotto.
– No, non fare lo scemo! Non è da vecchio saggio, è semplicemente un pensiero intelligente. Restano però il fucile e il “ma”, fammi finire.
Sorrido.
– Dimmi questo “ma”.
– Il “ma” è il punto cruciale, è quello che è successo dopo aver parlato per ore.
– Il dopo?
– Non ti ricordi?
– Beh sì, mi ricordo che abbiamo fatto l’amore sulla spiaggia, tipo tre ore, sapevi di sale e sabbia e credo qualche alga…
Melissa mi mette un dito sulle labbra.
– Cretino, il dopo è che siamo anche stati in silenzio, per tutta la notte, vicini, senza dormire.
– È vero, hai ragione.
– Quando ami stai in silenzio. E tu lì mi hai amato un po’, hai posato il fucile e smesso di combattere. Non hai amato per difenderti, non sei rimasto solo in ascolto del suono delle tue parole riflesse sulla donna di turno, eri con me, in pace.
La guardo, se le dico ti amo dopo ’sto discorso crolla tutto mi sa, se la bacio pure. Ma voglio dirglielo, muoio dalla voglia di dirglielo.
– E non dirmi “ti amo” adesso.
– Cazzo, dai.
– Non dirlo, non serve più, è già andato. Abbiamo vissuto il nostro, la tua vita è altrove e la mia è qui. Ma ricordati il silenzio, questo me lo devi. Non scappare dal silenzio.
– Melissa.
La voce dell’altoparlante chiama il volo della Singapore Airlines, il mio.
– Vai, adesso.
– Io torno, torno, te lo prometto.
– Andrea, già il suono della tua voce sta cambiando. Fidati di me.
Mi abbraccia.
– Addio, Andrea.
Le tocco la guancia, lei abbassa il volto e mi prende la mano.
– Non dimenticarti di me. Impara a stare in silenzio prima di amare.
Si gira lasciando un profumo di pesca nell’aria, ha una gonna corta, le sue gambe abbronzate e toniche già mi mancano.
Srotolo le cuffie, ho l’iPod carico di quasi mille canzoni, sento però decine di serpenti strisciarmi tra gola e petto.
Spingo Play. Dopo qualche istante attaccano le prime note; il pensiero di mettere subito pausa e di restare un po’ in silenzio mi sfiora, ma i serpenti si contorcono. Soppeso l’iPod come fosse un pezzo di carne.
Mi giro. Melissa è lontana, ferma, con la mano alzata per salutarmi; mi sembra stia piangendo. Della vecchia sagoma e delle altre non c’è più traccia, restano solo i serpenti nella mia pancia. Respiro, quello che mi ha detto Melissa è potente, pure più del mezzo attacco di panico con le visioni. La guardo ancora qualche istante. Sì, piange ma non ne sento il suono.
Mi avvio verso il gate e mi strofino il viso. Chissà se è stato davvero un attacco di panico.
Ho l’iPod ancora in mano, lo guardo di nuovo.
L’intro della canzone lascia spazio all’attacco della voce di Chester Bennington e sul display in bianco e nero scorre il titolo “Final Masquerade”. Lascio scivolare il pollice sulla corona sotto il piccolo schermo, giro e mi fermo quando il volume raggiunge il massimo e non si può girare più:
“ Tearing me apart with
Words you wouldn’t say
And Suddenly tomorrow’s
A moment washed away
‘Cause I don’t have a reason
And you don’t have the time
But we both keep on waiting
For something we won’t find
The light on the horizon
Was brighter yesterday
With shadows floating over
The scars began to fade
We said it was forever
But then it slipped away
Standing at the end of
The final masquerade”.