Nei capitoli precedenti:
- Capitolo 1 – Il sorpasso
- Capitolo 2 – Frontiere
- Capitolo 3 – In caso di morte
- Capitolo 4 – Terra di nessuno
- Capitolo 5 – Dentro
- Capitolo 6 – Bestialità
- Capitolo 7 – Droni
- Capitolo 8 – Sirene
- Capitolo 9 – Odessa
- Capitolo 10 – Bilanci
- Capitolo 11 – Mansplaining
- Capitolo 12 – Rete di sicurezza
- Capitolo 13 – Cibo da ridere, cibo da piangere
- Capitolo 14 – Maglie
- Capitolo 15 – Il Gambero Rotto
- Capitolo 16 – Suoni
- Capitolo 17 – Taxi
- Capitolo 18 – Fame
- Capitolo 19 – Congelare
Ventesimo capitolo – Punto di vista
Ucraina 2023
Il 3M-14T Kalibr è un missile subsonico da attacco terrestre con guida inerziale, lungo otto metri e mezzo, con una gittata di circa 1500 km.
Sasha Barskih è un impiegato regionale di sessantadue anni. Il suo ufficio affaccia su una grande piazza ogni mattina gremita di persone. Il suo ufficio è al diciottesimo piano, la grande finestra illumina la stanza quando il sole fa capolino dal grigio e i raggi si perdono fra vecchi libri di diritto amministrativo.
La scrivania è orientata verso il vetro che dà sulla piazza, prende tutta la luce possibile. Sasha, per quanto il cielo sia spesso grigio, ha fatto anche togliere le tende.
Guarda le foto della moglie e della figlia vicine a un piccolo mappamondo giallo e blu. Accarezza l’immagine della moglie. Non andavano d’accordo, ma quando lei è morta, un pezzo di lui è morto con lei. Così ogni mattina accarezza l’immagine sbiadita e poi bacia quella della figlia, che ora ha ventidue anni e studia ingegneria a Kyiv. Per via della guerra con la Russia, ora le telefona tutti i giorni alle quattordici. Prima del conflitto, invece, tre volte a settimana.
Sasha ha ancora il giornale in mano da quando è entrato in ufficio. Prima della guerra non leggeva quotidiani, preferiva la letteratura russa. Tolstoj, Dostoevskij e Nabokov. Ormai, ogni mattina, non aspetta altro che correre a comprare Den’, il quotidiano che preferisce.
Il fronte è a poche centinaia di km da dove si trova lui, ripete ai colleghi che l’Ucraina deve rialzarsi, combattere. Parlarne è il suo modo di sostenere i soldati.
Sasha ha sempre vissuto nell’oblast’ (provincia) di Mykolaiv con la moglie e la figlia Kateryna. Vive ancora lì oggi, da solo, in un distretto dove tutti sanno tutto dei vicini e ci si sostiene a vicenda.
Quelli con la figlia e la moglie sono ricordi che Sasha tiene ben stretti.
Da mesi ormai gli amici storici di Kateryna sono tutti al fronte. Nessuno è morto ancora, solo Tymur, il figlio dei suoi vicini, un anno più piccolo di Kateryna, ha perso un braccio per una mina ed è rientrato a casa e Sasha è corso a trovarlo prima disperandosi, poi inveendo contro i russi.
Sasha apre il giornale come se dovesse spuntare un poker d’assi. Il suo poker è non trovare i nomi di nessuno degli amici della figlia sul bollettino di guerra.
Den’ ha un inserto con tutti i nomi dei soldati morti per la patria, una lista scritta in grassetto contornata del disegno di una piccola croce di legno.
Tiene le pagine tra le dita, allarga le mani con accortezza, parte a leggere quando ancora si intravedono solo le iniziali, scorre e poi apre tutto. Ogni volta espira del fiato caldo, rasserenato dalla conferma che i ragazzi stanno tutti bene e ogni loro pezzo è ancora intatto perché non c’è nessuno dei loro nomi.
Pensa a sua moglie. La trattava male, l’aveva anche tradita, eppure cercava in ogni modo di valorizzarla, di elevarla e le mancava ogni giorno.
Il giorno della sua morte, in un istante, capì quanto amore lei gli aveva donato. Ricorda lo sguardo della donna rassegnato da mesi di malattia, quasi sollevato dal respiro della morte. La figlia non smise di piangere per tutta la notte e per i giorni successivi e Sasha impiegò mesi per darsi pace, per sollevare quella figlia ancora giovane e così sfortunata da dover assistere la madre moribonda.
Torna sul giornale, lo strofina tra le mani, controlla socchiudendo gli occhi di non aver perso nessun nome. Poi espira ancora. Se avesse meno anni si sarebbe arruolato. Sua figlia deve avere una nazione libera. Deve sentirsi a Kyiv come la borghesia europea si sente a Londra o Berlino. Sua madre sarebbe orgogliosa di lei. Ingegneria informatica con il desiderio di specializzarsi in Intelligenza Artificiale. Quante cose sono cambiate, pensa. L’Ucraina sarà in Europa, non si piegherà.
Dalla finestra passa un raggio di sole che esplode tra le nuvole grigie, la piazza e l’ufficio si illuminano. Pensa a Kateryna, lei è il sole per lui. Ha rischiarato la sua vita, scaldandola e dandole un senso, lei è il suo sole.
Prende il telefono, anche se è un po’ prima del solito, la chiama.
Dallo scoppio della guerra, quella che era apprensione al pensiero della figlia a Kyiv si è trasformata in paura limpida e chiara. Decide di anticipare un po’ la telefonata per un senso più o meno chiaro di urgenza. Si gratta la testa e spera di non disturbarla.
Non le confesserebbe mai che l’avrebbe voluta vicina, che lui solo non sa stare e senza la sua bambina, anche se si trova a poche centinaia di km, anche se ormai è una donna, la vita è un buco nero. Ma come l’Ucraina, Kateryna deve essere libera.
Il telefono suona libero, Sasha si alza dalla sedia e si avvicina alla finestra. Nella piazza alcuni bambini giocano e un cane saltella dietro una donna in bicicletta.
– Tato, ciao! (Tato è la traduzione ucraina di papino)
– Moya lyubov (Amore mio), come stai?
– Mi chiami presto oggi?
– Sì.
– Tutto bene?
– Certo, solo voglia di sentirti. Stai bene?
– Sono a colazione con Volodymyr, te lo ricordi?
– Certo, il tuo amico del corso, salutalo.
– Ti chiamo appena finiamo, tato.
– Ok, amore.
Kateryna attacca, poi anche Sasha. Non che ci rimanga male, ma quando Kateryna è indaffarata e lo respinge, o almeno lui si sente respinto, si rattrista. È un pensiero che tiene per sé.
In cielo lo scorcio di sole si chiude, lo spiraglio di luce si assottiglia e ne resta solo una striscia verticale che si riflette sugli occhiali di Sasha.
Quando Kateryna era piccola, le cantava sempre quella canzone imparata da sua nonna, in russo. La canzoncina raccontava di nuvole tristi scure e nere che, grazie ai raggi di sole, iniziavano a ridere a crepapelle e dal solletico, ridevano e ridevano fino a piangere lacrime, che nella canzoncina erano dozhd’, pioggia. Piangevano dal ridere fino a diventare bianche e leggere se ne andavano via cullate dal vento e così, baldanzoso, usciva fuori il sole. La canzone finiva sempre con Sasha che faceva il solletico a Kateryna e lei quasi si faceva la pipì sotto dalle risate. È stato tutto così veloce, il tempo insieme.
Si calcola che la velocità della luce sia 872.093 volte più veloce della propagazione del suono.
Questo significa che il boato dell’impatto di un Kalibr russo su una superficie arriva dopo il riflesso di luce che lo precede. Un Kalibr invece viaggia a una velocità di 2.9 Mach. In gergo aeronautico corrisponde circa a 3500 km/h.
Gli istanti prima dello schianto sono di silenzio; il suono, che viaggia a circa 1300 km/h, arriva dopo l’impatto. Solo un’impercettibile manciata di istanti dopo, perché il missile finisce la sua corsa sull’obiettivo e il boato che lo segue deflagra.
Veder arrivare un missile Kalibr o sentirlo è quasi impossibile. Il cervello umano non ha tempo di processare un tale impatto acustico o visivo.
A meno che non ami qualcuno con tutto te stesso. Allora c’è un istante in cui comprendi che l’amore per tua figlia ferma lo spazio e il tempo, supera il muro del suono e non è paragonabile a nulla. E Sasha la vede un istante, mentre gli squilla il telefono ancora in mano, lui vede su una nuvola il volto di Kateryna che lo guarda, la figura però si squarcia e sbuca un siluro che Sasha a malapena vede arrivare. Il 3M-14T Kalibr, con un boato udibile in tutta Mykolaiv, si schianta dritto nella finestra del suo ufficio, colpendolo in pieno ed esplodendo all’impatto con il vetro. Il dolore non ha tempo e spazio per esplodere, il corpo di Sasha va in mille pezzi. Ossa e carne diventano poltiglia arroventata mentre il centro dell’enorme edificio si apre come burro, il corpo di Sasha si squaglia per la temperatura e i muri carbonizzati si incendiano.
Di Sasha hanno ritrovato il telefono carbonizzato, irrecuperabile, e l’impianto dentario sotto la cenere di una foto dentro una cornice incredibilmente ancora intatta.
Kateryna è ritornata a Mykolaiv per organizzare il funerale di suo padre. Il giorno in cui l’hanno seppellito, lei ha deciso di arruolarsi. Il padre non gliel’avrebbe mai permesso. Sasha l’avrebbe voluta libera, l’avrebbe voluta ingegnere; l’amore di una figlia però, a differenza di quello di un padre, è misterioso e complesso, spesso di una violenza viscerale che esplode una mattina alla velocità della luce.