Freddo: Capitolo 11 – Mansplaining

A volte, tutto si riduce alla possibilità di vedere e sentirsi visti.

Nei capitoli precedenti:

 

Undicesimo capitolo – Mansplaining

Il silenzio copre il piazzale davanti all’ospedale pediatrico di Odessa. La donna, in ginocchio, si scusa. Parla in italiano. Ha i capelli a ciocche dense di colore fulvo.

– Volevo solo un ricordo, è un momento bellissimo. – Sussurra.

– Signora. Si rende conto? Si rende conto del rischio cui espone tutti e tutto questo?

Nessun altro parla, l’interprete e la donna sono nel mezzo del gruppo, contornati da silenzio. L’interprete fa cenno al direttore con le mani di stare tranquillo. Restituisce il telefono.

– Cancelli le foto.

– C-certo subito.

Penso a come ti venga in mente di fare foto. Quale intenzione ti muove? altro che ricordi.

La donna maneggia il telefono con l’interprete accanto puntato sullo schermo, lui poi annuisce, il volto si distende e torna verso il direttore.

– Ci scusiamo. Davvero. Ma qui rischiamo la vita. – Dice.

È calato un velo di freddo impalpabile. Interviene il direttore, prova a recuperare il clima accogliente che pochi prima stava scaldando gli animi.

L’interprete traduce:

– Sappiamo che siete stanchi e che vi aspettano molte ore di viaggio, grazie. Grazie a tutti per il calore. Che l’Ucraina tutta possa benedirvi e difendervi per la strada che dovete ancora fare e farete per tornare alle vostre famiglie.

Ora un lieve e caloroso applauso sale. Sorridiamo e i gruppi iniziano a dividersi.

Prima di andar via, Silvia ci fa cenno con le mani di radunarci:

– Ragazzi, venite. Il generatore va visto, quella meraviglia. Quel coso bellissimo che abbiamo pagato, che abbiamo portato per dare luce, capite sì?

Io la guardo, è così piena di energia che la invidio.

– Su su su, dai muoviamoci.

Come al solito, la aiutiamo a caricarsi il grosso zaino sulle spalle. Ogni volta è così. Ha lo zaino troppo stretto e pesante per caricarlo da sola.

’Sta cosa mi parla molto di lei. Ha sessant’anni, ha così tanta vita sulle spalle tra guerre e operazioni di recupero di superstiti che questa cosa dello zaino troppo ingombrante le calza a pennello. È Silvia, una donna forte che porta pesi più pesanti del normale, ma ha intorno persone che le vogliono bene, che si fidano di lei. Siamo molto diversi, inizio a volerle bene. Chissà come si sente davvero, dentro.

Arriviamo in un piccolo spiazzo dietro l’ospedale. Il generatore è grande quanto un’utilitaria, impacchettato e allacciato ai cavi elettrici che spariscono a terra. Sembra lì in attesa. Silvia si muove prende il telefono, scrive, poi ci guarda:

– Lo vedete? Ce l’abbiamo fatta eh. È fatta ’sta prima parte. Bravi bravi tutti bravi noi. Andiamo andiamo andiamo.

Io sorrido.

– Pensa che io volevo solo pagarlo. – Dico a Silvia mentre ci allontaniamo.

– Venire qui invece è stata la scelta giusta. Vederlo, toccare con mano, esserci.

– A pagar solo sono buoni in tanti eh. Cioè Andrea, tu sei più buono, sei un po’ illuminato a modo tuo. Ma che non lo so quanto t’è costato venire qui? Ce l’hai negli occhi.

Mi blocco, ce l’ho negli occhi. Lo sapevo, Silvia mi vede.

Sto qua, abbiamo ridato speranza a un quartiere intero di Odessa. Ho grattato via un po’ di paura. E perché mi sento come un’anima in pena?

– Andrea?

– Oh Silvia scusa, eccomi.

– Non restare indietro, restiamo vicini. Qua la situazione sembra tranquilla ma cambia in un secondo eh. Poi dobbiamo ripartire. Che storia quella tipa con il video. Ti pare che fai un video e magari lo posti sui social. Valli a capire. Mykolayiv ci aspetta, su! – Alza il tono di voce sulla parola Mykolayiv.

Ci siamo. Salgo sul camper e mi siedo sul sedile accanto al guidatore. Guida Mariangela, che sta ancora salendo sul camper.

– Dile, il freno a mano l’hai tirato bene prima, sì? Sta lì dietro a sinistra.

Vedo Diletta maneggiare il freno sulla sinistra del sedile del guidatore.

– Fassi. – La voce di Mariangela sovrasta tutto.

– Mansplaining.

– Eh?

– Con te devo ogni volta ricominciare. – Mariangela ride, ma la voce è seria.

– Man’s planning? È uno sport?

– Andrea. Cazzo. Io qui ti riporto in Italia come nuovo, cazzo.

– Ma che vordì? Mansplaining? – Faccio lo spelling sperando di evitare di peggiorare la mia situazione.

– La quarta ondata di femminismo? Il vizietto di voi maschietti di imboccare noi donne in cose che reputate mascoline o che credete non siamo in grado di farlo? L’affermarsi del patriarcato subdolo e manipolatorio?

Mi guardo intorno. Qui le mie battute, il tono di voce più basso, non funzionano. Sono io contro me stesso, devo trovare un nuovo me per sopravvivere a tutte loro. O forse devo solo essere me. Quanto so belle però, penso. Infuocate e coraggiose.

– Dai, spiegatemi il resto.

Mi siedo incrociando le mani, fingendomi annoiato.

– Devi rinunciare a questa linea di patriarcato che ti attraversa, devi umanizzare noi donne, vederci.

Ma se siete voi donne che non vedete me da quando so nato, anzi che vedete quello che ve pare, penso e non lo dico perché capisco sia na cazzata.

– Ma io amo le donne, le tratto bene. Vi umanizzo eccome.

– Io amo le donne, le tratto bene. Ma quanto sei stronzo?

– Ma come stronzo?

– Ma è iper machista “amo le donne, le tratto bene”. Ma non si dice, suvvia Fassi, ti faccio meglio di così.

Mi sa che divento un po’ rosso.

– Oh, io non capisco.

– Appunto. Che tratti bene, trattare bene è vederle, è empatizzare. Non sessualizzare o convincere.

– Oh, ma sei la mia psicanalista?

– No, sono la tua salvezza, una tua amica vera.

Mariangela, ammetto, è bella tutta. Nel senso che un’altra l’avrei mandata a fanculo in tre parole. Vorrei dirglielo. Di lei ho così  tanta stima che vorrei non sciuparla mai, dimostrarle che capisco intimamente quanto dice. Ma, forse, è ora di pensare di non capire e imparare. Ascoltare.

– Dobbiamo partire, ragazzi. Su.

Valerio di solito guida il van, fa capolino dalla porticina d’ingresso.

– Sei salvo, Fassi, il patriarcato di merda è venuto in tuo aiuto.

Sorrido e mi abbandono sul sedile. Grazie, Valerio. Mariangela mi fa l’occhiolino e sorride affettuosa.

Ora è necessario concentrarsi, saremo a Mykolayiv in serata e non so cosa ci aspetta.

 

La Roma-Fiumicino è deserta. Giorgia guida la Smart come al solito, troppo veloce per me, mi innervosisce. È in silenzio.

Io scoppio a piangere. Per la prima volta, credo, davanti a lei. Forse è il momento più intimo che le ho concesso negli anni insieme. Mi guarda come se fossi un alieno.

– Forse era ora, Andrea.

– Dici?

– Dico. Devi farti aiutare.

Qualche macchina si inizia a vedere, e ci rallenta la corsa. Non è poi così deserta la strada. Vedo scorrere case e alberi sotto un cielo di nuvole che sembrano fatte di panna lanciata da una cucchiarella.

– Hai ottenuto quello che volevi. Sei a capo della gelateria, hai me. Ma che c’hai in testa?

Guardo le nuvole. Ho lei. Sospiro, lei. Le nuvole hanno forme morbide e vorrei mi avvolgessero facendomi il solletico, tipo abbraccio.

– Aspetta.

– Cosa, Andrea?

– Non andare avanti. Sai meno di quanto pensi.

– Stiamo insieme da tre anni, ma che dici?

Resto di nuovo in silenzio. Ogni volta la stessa storia.

– Tre anni.

– Sì, tre anni. Te lo sei scordato?

– Eh, e te l’aspettavi una roba simile? Drogato ad Amsterdam con rischio di morte e attacchi di panico vari?

Ora una nuvola prende la forma di un gatto e soffia. La guardo.

Giorgia resta in silenzio.

– Mi porti in gelateria, Giò? E guida più piano, dovresti mettere il sistema eco, così magari rallenti.

– Non so che dirti. Davvero, Andrea.

– Ok, ma guida meglio.

Non risponde più. E io non parlo fino alla gelateria. Accosta la smart in doppia fila, vorrei dirle qualcosa di importante. Lei non è la donna della mia vita, ma è importante, e non penso lo sappia, non penso le dimostrerò granché.

– Grazie. – Le dico senza guardarla.

Lei si gira, ingrana la prima automatica della piccola Smart e parte.

Io scrollo la testa ed entro, ancora attraversato da brividi. Saluto e sfilo via, su in ufficio.

Sul tavolo c’è il piano di business compilato, proiezioni inventate che ho ponderato in una notte. Confido in Nico, il commercialista. Lui è un’altra cosa che devo a Giorgia. Nico, che mi è simpatico, è il consulente di suo padre e da poco è anche il mio consulente, personale e per la gelateria.

Appena sono diventato Amministratore, mi sono liberato del vecchio commercialista, tale Andrea, un palloncino gonfiato di poco valore. Un incastro di falsità e cortesia. Alto meno di me, con la faccia appuntita di una volpe e la parlata veloce, ogni volta che l’ho incontrato ha usato parole grosse per fingersi competente. Ha fatto perdere alla gelateria circa centomila euro per un errore.

Così, nei miei piani, l’unica cosa di cui sono certo è quella di inserire intorno a me gente migliore di me. Come Nico.

Lui ha capito che i miei dati erano proiezioni “a intuito”, così si è messo lì ad analizzare tutto.

Lo chiamo.

– Nico!

– Andrea, come andiamo?

Mi viene da ridere, vorrei dirgli che ho ancora postumi di una seratina andata male ad Amsterdam.

– Benone! Ti chiamavo per le cose nostre sul business plan.

– Sai che hanno senso le tue proiezioni?

– Sì? – Tossisco.

– Nel 2020, se sei bravo, ci arrivi come dici tu. Puoi presentarle in Consiglio di Amministrazione firmate.

– Grazie, Nico.

– Sono contento, Andrea, e in bocca al lupo.

– Crepi!

Attacchiamo insieme.

Senza pensarci tiro fuori dal cassetto sotto la mia scrivania, da una scatolina di metallo, la mia mont-blanc e firmo i fogli.

Respiro, sfioro la mont-blanc e poi la rimetto in ordine al suo posto, l’oggetto a cui tengo di più.

Devo fatturare due milioni di euro e l’ho appena sottoscritto. Madonna. Penso. Siamo a un milione e sette. E come la porto trecentomila euro su?

Non sento più brividi. Nico crede in me, mi fa ridere. Mi asciugo la fronte, respiro. Niente tachicardia, respiro a posto, le proiezioni le ho azzeccate. Parto da questo.

La porterò trecentomilaeuro su. Mi alzo in piedi e guardo l’enorme sala, ora semivuota.

– E mi riprenderò le quote societarie che ora ha l’azienda coreana. – Sussurro.

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Andrea Fassi

Pronipote del fondatore del Palazzo del Freddo, Andrea rappresenta la quinta generazione della famiglia Fassi. Si laurea in Scienze Politiche e Relazioni Internazionali coltivando l’interesse per la scrittura. Prima di seguire la passione di famiglia, gira il mondo ricoprendo diversi ruoli nel settore della ristorazione ed entrando in contatto con culture lontane. Cresciuto con il gelato nel sangue, ama applicare le sue esperienze di viaggiatore alla produzione di gusti rari e sperimentali che propone durante showcooking e corsi al Palazzo del Freddo. Ritorna al passato dando spazio al valore dell’intuito invece dei rigidi schemi matematici in cui spesso oggi è racchiuso il mondo del gelato. Combina la passione per il laboratorio con il controllo di gestione: è l’unico responsabile del Palazzo del Freddo in qualità di Amministratore Delegato e segue la produzione dei locali esteri in franchising dell’azienda. In costante aggiornamento, ha conseguito il Master del Sole 24 Ore in Food and Beverage Management. La passione per la lettura e la scrittura lo porta alla fondazione della Scuola di scrittura Genius nel 2019 insieme a Paolo Restuccia, Lucia Pappalardo, Luigi Annibaldi e ad altri editor e scrittori. Premiato al concorso “Bukowsky” per il racconto “La macchina del giovane Saleri”, riceve il primo premio al concorso “Esquilino” per il racconto “Osso di Seppia” e due menzioni speciali nei rispettivi concorsi “Premio città di Latina” e “Concorso Mario Berrino”. Il suo racconto “Quando smette di piovere”, dedicato alla compagna, viene scelto tra i migliori racconti al concorso “Michelangelo Buonarroti”. Ogni martedì segue la sua rubrica per la scuola Genius in cui propone racconti brevi, pagine scelte sui sensi e aneddoti dietro le materie prime di tutto il mondo. Per la testata “Il cielo Sopra Esquilino” segue la rubrica “Esquisito” e ha collaborato con il sito web “La cucina italiana” scrivendo di gelato. Docente Genius di scrittura sensoriale, organizza con gli altri insegnanti “Il gusto per le storie”, cena evento di degustazione di gelato in cui le portate si ispirano a libri e film.

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