Quella mattina non riusciva a stare in casa, così era uscito per fare due passi, magari sarebbe arrivato fino al porto.
Andersen camminava e si guardava i piedi, 47 centimetri, per un metro e ottantacinque di statura. Da bambino sognava di fare il ballerino, era magro e leggero, poi, all’improvviso si era ritrovato altissimo e con i piedi enormi, così il sogno era sfumato ancor prima di iniziare.
Il vento che veniva dal mare gli scompigliò i capelli, Andersen rabbrividì anche se non faceva poi così freddo.
Un altro sogno era appena svanito. Edvard Collin, il suo amico più caro, il suo amore impossibile. Edvard Collin si era sposato.
“Ti desidero come se tu fossi una splendida fanciulla della Calabria”, gli aveva scritto, sull’onda di ricordi di un viaggio in Italia dove si era ubriacato di sole e di bellezza. Avrebbe voluto radunare tutti gli abitanti di Odense davanti alla Cattedrale di San Canudo, il loro santo Patrono, e gridare l’amore per Edvard, negato dalla società, dalle convenzioni e che lo condannava a una perpetua, disperata solitudine.
E invece niente, restava in silenzio, come la Sirenetta dell’ultima fiaba che aveva appena finito di scrivere. La Sirenetta con la lingua mozzata, al posto della coda due gambe ottenute a carissimo prezzo, e quel bellissimo principe che non si innamora di lei.
Il vento che si era alzato faceva ondeggiare le barche ormeggiate nel porto. Andersen guardò il mare che da blu si era fatto quasi nero, come il palazzo della Strega del Mare.
Povera Sirenetta, pensò, e gli venne da piangere.
Bibliografia:
Hans Christian Andersen, La sirenetta e altri racconti, BUR;
Hans Christian Andersen, Un mondo diverso, Langella Edizioni.