Un giovane trasporta droga ingerendola nella speranza di guadagnare soldi per comprarsi una casa.
Help è una storia in cinque puntate ambientata a Roma.
Puntate precedenti
Capitolo I – Digestione alternativa
Capitolo II – Sottovia portami via
Capitolo IV
Strada
Scalzo sull’asfalto mica è come sulla terra a casa mia. Almeno ho trovato pantaloni in mezzo ai vestiti di uno senza casa come me. Che io la casa quasi ce l’avevo. Ma con le manette niente, resto con il petto nudo prendo solo un maglione per coprire le manette. Qui è tutto sporco e i vetri e l’immondizia. Poi mi sto pisciando sotto ancora. E la faccio sul primo muro che mi capita. Deve essere per quella roba che ho portato dentro. Tanto nessuno mi sta più inseguendo. Sono stato veloce. Velocissimo. Poi devo ritrovare l’italiano, quello dei soldi facili. Magari poi riesco a riprendermi quei soldi che quello con la pancia e l’idrante mi ha tolto là sotto al sottovia. Ho fame. Devo mangiare. C’è questo bar, c’è scritto bar lì. Entro prendo e scappo. Entro prendo e scappo.
Allora entro. E per non avere paura devi fare paura.
Tiro giù dal banco tutto quello che posso e cadono a terra cornetti e dolci e anche le gomme e le merendine. E mi chino le raccolgo e mi cade anche il maglione. La gente intorno guarda le manette e ha paura lo vedo non si muove nessuno. Sento l’odore della paura. Pure della mia. Come in Africa la paura dura poco però, poi gli animali reagiscono e io sono un animale come lo sono questi intorno a me e hanno paura e io non ci penso più che ho paura e prendo i cornetti così li chiamano. Questi li chiamano cornetti poi prendo delle gomme da masticare prendo quello che posso e corro via veloce. Mentre corro mangio. Metto in bocca questi cornetti caldi, fortuna che le mani le ho ammanettate davanti che sono dolci, troppo dolci che schifo. La polizia mi cerca, ora mi cercheranno anche quelli dentro lì quel bar. Ma che ci sono venuto a fare io qua?
Quindi corro. Per tornare indietro fino a casa, dovrei correre chilometri chilometri chilometri riprendere una barca pagare passare il deserto e tornare lì. Che era più bello, molto più bello ma anche più brutto.
Resto. Mi fermo, smetto di correre. Che faccio adesso. Cosa faccio adesso. Che faccio. Poi a guardare bene alcune persone, mica quelle del bar, mi sorridono. Sembrano gentili. Chiedo aiuto. Ci provo.
– Che mi aiuti? – Chiedo a una ragazza. Ma non mi capisce. Ho mangiato. Ma non so dove andare devo farmi aiutare mi sono anche tagliato sotto al piede. – Che mi aiuti?
Guarda le manette. Guardo le manette e voglio dirle no non è così. La vedo che mi vuole aiutare la ragazza che ho fermato. È bella. Ma guarda ancora le manette. E io mi ci sposerei se mi aiuta. La guardo bene e mi sa che finge, ha paura fissa le manette e si accorge che la guardo non così bene ma che ho dei pensieri. Ma è naturale è normale io non le voglio fare del male. Lei indietreggia di uno due tre passi lo fa con delicatezza pensa io non mi accorga che vuole scappare o vorrebbe non me ne accorgessi. E mi avvicino e faccio due passi e le sono vicino di nuovo. Lei indietreggia, ora il viso è proprio teso. Uno dalla parte della strada strilla così: – Oh ragazzo che fai?
Un po’ lo capisco penso mi stia chiedendo cosa voglio, o qualcosa di simile forse se voglio aiuto io lo guardo e dico nella mia lingua niente chiedo aiuto a questa ragazza. Mi giro e lei non c’è più. L’hai fatta scappare, penso dell’uomo dalla parte opposta della strada poi mi dico che l’ho fatta scappare io con le manette. Camminando vuoi che sia un caso o forse è l’unica strada che conosco sto di nuovo sotto al sottovia. Questa volta tiro dritto. Niente polizia, idranti, niente di niente. Neanche i miei soldi sono più qui. Dopo il sottovia vado di là o di qua mi chiedo, di là è verso la stazione dei treni mi pare dove da quelle parti c’è l’italiano. O forse no è di qua. Ma di qua non c’è granché. Però di qua vedo un gruppetto di persone, mi sembrano un po’ sperduti là davanti a un grosso cancello.
Ci vado.
Sono in quattro mi guardano io li guardo. Due bianchi e due neri. Quello nero, che mi sembra pure più grosso di me, muove le mani non parla e mi viene incontro. Poi parla.
– Qui c’è un treno invisibile che ti rimette sul binario, lasci il tuo sentiero ritrovi la fiamma e riparti.
Lo guardo. Parla la mia lingua.
– Qui c’è il wifi, le docce la gente. Ogni tanto fai pure roba fratello. – Aggiunge.
Lo guardo in silenzio.
– Hai un bel problema fratello. – Mi dice e guarda le manette.
Annuisco.
Tira fuori un coltello, me lo punta. Io indietreggio. Avanza. Guarda le manette e fa un cenno con il viso. Io mi fermo e allungo i polsi.
Fa scattare la serratura con il coltello.
– Gli italiani sono buffi fratello. – dice. – Una parte si lagna che non ci accolgono e che ci trattano male, una piccola parte, perché fratello è una piccola parte, ci tratta di merda. Quindi sii grato bello che sei arrivato qua.
Lo guardo, guardo le manette.
– Sai quante ne ho aperte bello. – Dice seguendo il mio sguardo.
Avrà dieci anni più di me che nel mio paese vuol dire che già puoi essere un leader, c’ha gli occhi cattivi però. No no aspetta non cattivi, sprezzanti, ha sofferto e mi sa, cioè lo sento, non ha più paura.
– E tu che ci fai qui fuori? Perché allora non sei dentro. – Indico il cancello.
– Io ormai faccio come mi pare. Io sto qui, prendo un po’ di quello che mi serve e me ne vado in giro. Io sono arrivato come te bello con la roba dentro la pancia. Tu sei arrivato sicuro con la roba dentro la pancia. Te ne rendi conto dopo, della dignità dico, bello. Quella lì a un certo punto impari che non torna più se la perdi, si dilata troppo, si lacera. E questi qua, questi del treno Binario 95, questi ci provano a restituirtela. E sono bravi bello. Ma io sono così, non mi mischio. Prendo e vado prendo e vado e annuisco e me ne fotto.
– Non capisco. – Dico.
– Fratello, entra. Capirai.
Se ne va, si gira e si allontana e da uno schiaffetto sul viso sulla faccia dell’altro tipo.
Io resto fermo, guardo il Binario ma non vedo nessun binario. Che devo fare? Resto fermo qualcuno mi dirà. Qualcuno mi spingerà o forse torna la polizia. Ma no che torna. C’è un campanello alla destra del cancello. Suono. Magari c’è davvero un treno verso la dignità.