Anna Maria tolse gli occhiali e si sfregò le palpebre con forza, quasi volesse togliere dagli occhi tutta la stanchezza che li appesantiva.
Rimase così, con gli occhi chiusi, il volto sfiorato da una brezza leggera che veniva dal mare e che muoveva la tendina di mussola bianca.
I facchini sarebbero arrivati a breve, dando inizio a tutto il trambusto che accompagna un trasloco. Sua sorella Maria si era sobbarcata di ogni fatica, incartando piatti e bicchieri, avvolgendo quadri in carta di giornale e sistemando la poca biancheria di casa nel pesante baule aperto che ostruiva l’ingresso.
Anna Maria, invece, era stata colta da una specie di astenia, a malapena riusciva a vestirsi o a buttare giù un po’ di cibo, una morsa stretta le serrava lo stomaco e le toglieva le forze.
Ormai non poteva più restare a Napoli, città dove era approdata dopo una lunga serie di spostamenti, da una regione all’altra, per via del padre impiegato in prefettura.
Sono come Eugenia, disse piano, la ragazzina “cecata” e povera del suo racconto che, quando finalmente riceve un paio di occhiali (da una zia che le rinfaccia di continuo la spesa) vede per la prima volta il basso nero e umido in cui vive, i panni bagnati, la monnezza, e sopraffatta da tanto squallore comincia a vomitare.
Un paio di occhiali era il primo racconto de Il mare non bagna Napoli, libro che le aveva fatto vincere il Premio Speciale Viareggio 1953 per la narrativa. L’ultimo racconto, Il silenzio della ragione, invece, era stato la causa del suo esilio imminente.
Costruito come un finto reportage sugli intellettuali progressisti che avevano fatto parte, come peraltro lei stessa, della rivista “Sud”, attiva a Napoli dal 1945 al 1947 descriveva atteggiamenti di Domenico Rea, Raffaele La Capria, Pasquale Prunas, Luigi Compagnone, Gianni Scognamiglio e altri, chiamandoli per nome e cognome. Dudù La Capria aveva addirittura parlato di “libro sfrontato e senza contegno”.
L’irritazione dei suoi colleghi era stata grande e, malgrado il successo del libro, era montato lento ma inesorabile una specie di ostracismo nei confronti della scrittrice, e lei aveva avuto la netta impressione che quel che aveva scritto non le sarebbe stato più perdonato.
Dal vicolo salivano grida di ragazzini che si muovevano a frotte, come tanti topi sempre in movimento. Voci stridule di donne, da una finestra all’altra che salutavano, maledicevano e imprecavano, sovrastando i rumori della strada.
Anna Maria si scosse, i facchini stavano per salire e lei doveva ancora chiudere la valigia.
Avrebbe guardato Napoli da lontano, pensò, e l’avrebbe immaginata bellissima e maestosa, avvolta in una nebbia d’azzurro e d’oro, come Eugenia, quand’era ancora senza occhiali.
Bibliografia:
Anna Maria Ortese, Il mare non bagna Napoli, Adelphi