Ludovico Ariosto l’Amministratore

Lui che ne ha creati di indimenticabili con l’immaginazione, non sente che disagi e l’asprezza e inospitalità dei luoghi.

Nei momenti più felici della sua ispirazione, pare staccarsi dalla realtà che lo circonda. Ludovico Ariosto mal sopporta la vita pratica, le fastidiose incombenze amministrative e gli affari che sbriga al servizio di due signori pieni di presunzione e di pretese, Ippolito e Alfonso d’Este, in una delle corti più lussuose e agitate del rinascimento. S’immerge nel mondo incantato della sua immaginazione, popolato di eroi cavallereschi, donne guerriere, castelli fatati, tornei e duelli mortali, e trova conforto alle occupazioni quotidiane di cortigiano e ai faticosi viaggi a cavallo per le numerose missioni diplomatiche.

Inviato da Alfonso d’Este in Garfagnana, a Castelnuovo, amministra terre e armenti fin sui pascoli alti, dove sentieri impervi rigano i monti dai profili aguzzi, e mutano d’autunno in ruscelli impetuosi. Vi si trovano in abbondanza gioghi e fonti, luoghi selvaggi infestati dai briganti, ma nessun Parnaso. È probabile che l’Ariosto sia salito più volte per le sue ispezioni, fino alla caverna del Santo Pellegrino, l’eremita venuto dall’Irlanda nel VII secolo.

Lontano dai fasti e dai piaceri di corte, dalle cortigiane di cui è sensibile al fascino e dalla donna amata, Alessandra Benucci, le bellezze naturali non lo consolano, pare non sentire la grazia della montagna, come se gli mancasse il gusto del paesaggio naturale; lui che ne ha creati di indimenticabili con l’immaginazione, non sente che disagi e l’asprezza e inospitalità dei luoghi. Aguzza l’ingegno alle finezze della diplomazia e alle astuzie del commercio, mentre il suo spirito rimane là, fra i suoi libri e i suoi scritti. Il poeta spinge i suoi eroi in mille pericoli e avventure, mentre l’uomo ama la vita pacifica e tranquilla, e sospira la quiete.

Il suo epistolario rivela come sia stato però un eccellente funzionario. Invia alla corte persino delle proposte per le proprietà ducali, ma la burocrazia cortigiana non se ne occupa, risponde di malavoglia e in ritardo, e l’Ariosto se ne dispera. In un’annata di carestia, obietta al suo signore prima di eseguire l’ordine di esportare le castagne di cui la Garfagnana è zona produttrice, e lo informa su quanti speculano sui dazi. Che vale essere onesti e severi, se poi il Duca elargisce grazie a sproposito?

“Le troppe grazie che V.E. fa a questi uomini della Vicaria di Camporeggiano, li inasinisce”.

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