La musica di Boris Pasternak

“… Essa traboccava di un contenuto elaborato fino alla follia e nuovo, come nuovo era il bosco aulente di vita e freschezza, nella veste mattutina”

Nella primavera del 1903 il padre di Boris Pasternak prende in affitto una villa di campagna, su un poggio, poco distante dalla casa di Skrjabin. Di mattino presto mentre i genitori aprono i bagagli, sistemano viveri, tegami, e riforniscono stanze e letti dei corredi, Boris, dodicenne, trova rifugio nel bosco. Dopo che le ultime nevi sono scomparse, erbe e fiori germinano in fretta, accestiscono ai piedi degli alberi e si fanno alte. Dove il fogliame infittisce, in ogni angolo di verde fiorito nei colori dei nuovi germogli, la luce crea sorprendenti geometrie nell’alternanza con le ombre. Boris s’incanta a osservarne i giochi fino all’improvvisa irruzione della musica dalla villa vicina, Skrjabin al pianoforte sta componendo la Terza Sinfonia, il Poema Divino. Boris è già avviato allo studio della musica, la madre è eccellente pianista, ma l’incontro con Skrjabin s’imprime nella sua memoria con l’intensità di una folgorazione.

Dio che musica! La sinfonia rovinava, sprofondava continuamente, come una città sotto il fuoco dell’artiglieria, e tutta si ricomponeva, sorgendo dai frammenti e dalle rovine. Essa traboccava di un contenuto elaborato fino alla follia e nuovo, come nuovo era il bosco aulente di vita e freschezza, nella veste mattutina”.

Spesso Skrjabin passeggia con suo padre, pittore di originale talento, illustratore del romanzo Risurrezione di Tolstoj, a volte Boris li accompagna. Il musicista si diverte a procedere a salti, quasi per inerzia, dopo aver preso la rincorsa, con una leggerezza che a Boris ricorda il volo. Durante i ricevimenti Skrjabin evita gli argomenti troppo seri, enuncia i suoi paradossi e cerca di apparire vuoto e superficiale con una grazia sorprendente, Boris ne è conquistato. Dall’estate Boris improvvisa e compone, si dedica al pianoforte con più passione sotto l’influenza della sua adorazione per Skrjabin, che ben presto si trasferisce in Svizzera.

Per sei anni consecutivi approfondisce la teoria della composizione e nessuno nutre dubbi sul suo futuro da musicista. Per la musica gli perdonano tutto, disobbedienze, e negligenze. Al ginnasio, durante le lezioni di greco o di matematica, risolve problemi di contrappunto sul quaderno di musica aperto sul banco. Interrogato dal posto, rimane impalato senza sapere cosa rispondere, ma tutta la classe prende le sue difese e gli insegnanti chiudono un occhio. Skrjabin torna dalla Svizzera nel pieno dei suoi trionfi, Mosca ne celebra il ritorno. Boris si presenta a lui e gli suona le sue composizioni. Skrjabin lo approva e lo incoraggia a continuare. Sente però di essere un pessimo pianista, avanza con successo nella composizione ma “suonavo a mala pena il pianoforte” con un “insufficiente sostegno tecnico”. Questa inadeguatezza è motivo di continuo tormento, che alla fine non può più sopportare. Abbandona lo studio della musica quando tutti attorno lo lodano e lo incoraggiano.

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