Giovanni Comisso compra un piccolo podere nel trevisano, nella primavera del 1933 inizia i lavori di ristrutturazione della casa colonica. Chiama a collaborare alcuni amici, maestri artigiani, e li ospita per il tempo necessario al completamento dell’opera. Ad Arturo Martini commissiona una terracotta di San Bovo, protettore degli armenti, da fissare sulla porta della stalla, Mario Botter decora le pareti. Cribol, vecchio compagno d’infanzia, fabbrica la mobilia; impreca da mattina a sera e non risparmia aspre battute contro il fascismo, scandalizzando le famiglie di contadini confinanti che finiscono col denunciarlo. I carabinieri si presentano a casa, lo interrogano ma non ravvisano gli estremi di un reato per la carcerazione e Comisso nasconde il forte risentimento nei confronti dei vicini di casa. Finito il lavoro, Cribol torna al suo paese. Una volta che Comisso fatica ad aprire il cassetto della sua scrivania, ispezionandolo, scopre che Cribol vi ha scritto sotto: “Viva la libertà”.
Alla dolcezza del paesaggio e alla tranquillità d’un fruttuoso lavoro dei campi, lentamente subentra lo sfondo cupo e minaccioso dell’imminente conflitto. I giovani contadini vengono chiamati alle armi, il giorno in cui Comisso consegna i bozzoli del suo allevamento, sui giornali compaiono a lettere cubitali le notizie dell’entrata in guerra e dei primi combattimenti sul fronte francese. Alla stazione vede passare i convogli militari stipati di soldati, carichi d’armi e di cannoni, un aratro dipinto di fresco è abbandonato su un binario. Smarrito fra due mondi che si fronteggiano, la buona terra dell’amata campagna veneta e il conflitto con la sua violenza, sente profonda la mortificazione d’ogni libera aspirazione dell’uomo.
I vicini prendono l’abitudine di raccogliersi in casa sua ad ascoltare la radio; i primi tempi sperano che i tedeschi sbarchino in Inghilterra, così da far cessare le ostilità con una vittoria lampo. Tuttavia, presto si devono rassegnare a una guerra lunga, per la strada principale del paese passano gli autocarri con le autoblinde pronte per raggiungere il fronte russo, e finiscono per non contar più sulle labili chimere delle vittorie annunciate.
Con più solerzia si dedica al lavoro dei campi, sorretto dalle virtù della terra di germogliare e di dare frutto. Una mattina s’accanisce contro un nido di formiche che guastano le fragole. Vanificando i suoi sforzi, si presentano sempre più numerose. È la settimana di Pasqua e la madre si trova con lui, sta accumulando provviste per festeggiarla degnamente.
Il sette aprile del 1944, venerdì santo, una formazione di aerei americani attraversa il cielo. Il vento contrario non porta alcun fragore di bombe ma dopo poco i contadini li avvertono che da Treviso si sta sollevando un denso fumo. In città hanno la casa in cui è nato, coi suoi ricordi. Avvicinandosi con la bicicletta, sulla strada trova la gente che fugge e trasporta sui carretti masserizie accatastate alla rinfusa. Si alzano le fiamme col vento assieme a una nube nera, l’aria è acre. Scavalca le macerie portando la bici in spalla, giunge nella piazza antistante la casa e si accorge che è rimasto solo un cumulo di pietre, la casa non esiste più. Alcuni s’aggirano tra le rovine alla ricerca disperata dei familiari sepolti. A un tratto, nota che tra i calcinacci affiorano dei libri rimasti intatti fra cui una Bibbia.
Al ritorno sua madre lo attende alla porta, le mente dicendole che la casa ha subito solo qualche lesione, ma che è inagibile. Per non impensierirla, riprende il lavoro nell’orto. E non osa più distruggere il nido di formiche.