Abita in un piccolo appartamento nella Casa della Fontana, il palazzo nobiliare dell’aristocratica e influente famiglia Šeremetev, a Leningrado, la leggendaria San Pietroburgo, “la capitale della Neva”. Il magnifico edificio tardobarocco, con l’ampio cortile interno e l’imponente cancellata di ferro, è stato suddiviso dopo la Rivoluzione in minuscole abitazioni e soffre di un lento degrado.
Si accede all’alloggio di Anna Achmatova dalla ripida scala buia, l’arredamento è ridotto all’essenziale: un tavolino, poche sedie, una cassapanca, il divano. Alla parete l’unico disegno di Modigliani salvato dall’assedio. Non le ha mai chiesto di posare per un ritratto; durante le lunghe ore trascorse insieme a Parigi, sulle panchine del Lussemburgo, recitavano le poesie dei poeti francesi che entrambi amavano. Modigliani ha tratteggiato a memoria il profilo bellissimo e severo in sedici disegni spediti in Russia, che i tumulti della Rivoluzione le hanno sottratto. Tutti perduti, tranne quello, carissimo, che ha appeso sopra la stufa spenta, “osservato con infinita tristezza”.
Il portamento regale conferisce una certa solennità ai modi distanti, ha i capelli raccolti, ingrigiti, porta sulle spalle uno scialle bianco. Mostra un anello di pietra nera che Boris Anrep, poeta e mosaicista, le ha regalato nel 1917.
Il figlio di Anna, Lev Gumilëv, porta in tavola le patate lesse, quel poco che è rimasto. È professore di storia a Leningrado, vive con lei. Anna si è battuta strenuamente per ottenere la sua liberazione dai campi di lavoro staliniani. Somiglia al padre, Nikolaj Gumilëv, il primo marito, celebre poeta, condannato a morte e fucilato per cospirazione monarchica. Anna lo ha sempre difeso dalle accuse.
Vittima della censura e dell’ostracismo, il suo appartamento è costantemente sorvegliato dagli agenti del Partito che si serve di una frase per screditarla, estrapolata dal discorso d’un critico letterario in una conferenza sull’intreccio di religiosità e sensualità nella sua poesia: “un po’ suora, un po’ sgualdrina”.
Sono certa che se le chiedessi di parlarmi di Tolstoj, ripeterebbe le parole riportate da Isaiah Berlin nel ricordo del loro primo incontro nel 1945: “Perché mai Anna Karenina doveva finire ammazzata? Dal momento in cui lascia Karenin tutto cambia per lei: agli occhi di Tolstoj diventa di colpo una donna perduta, una traviata, una prostituta… quando il suo matrimonio era felice scrisse Guerra e Pace che celebra la vita familiare. Quando cominciò ad odiare Sof’ja Andreevna senza però voler affrontare il divorzio, perché condannato dalla società, e dai contadini, scrisse Anna Karenina e punì la protagonista che aveva osato lasciare Karenin”.
Forse Anna Achmatova non si è mai allontanata dalla sua stanza, o s’aggira nelle sale del museo a lei dedicato, nel palazzo adiacente alla Casa della Fontana. Forse non ha mai “ucciso fino in fondo la memoria” e ancora recita commossa, ad occhi chiusi, due canti del Don Juan di Byron, con l’insolita pronuncia inglese per cui “era impossibile afferrare più di una parola o due”.