Le scale del paradiso

Il protagonista è morto ma di certo non si aspettava di trovarsi su una nuvola con ancora le sue stampelle in mano e avere davanti a sé una grandissima scala che conduce al Paradiso.

Sono morto, si sa che prima o poi succede, ma non mi aspettavo di trovarmi su una nuvola in movimento e di impugnare anche qui le mie stampelle. La nuvola si muove verso una scalinata bianca all’orizzonte. Si ferma e davanti a me la scalinata. Non riesco a vedere la cima.

“Non ce la farò mai”.

A questo pensiero sento i miei piedi appesantirsi. Provo a mettere una stampella davanti all’altra e a camminare, ma la nuvola è soffice e i gommini delle stampelle affondano come sulla neve. Mi trascino sulle braccia, estraggo prima una stampella e poi l’altra, faccio forza e porto avanti il passo fino ad arrivare ai piedi della scalinata.

– C’è qualcuno? C’è qualcuno?

Si materializza davanti a me Serena Grandi, nuda, si svela lentamente come nella scena di Rimini Rimini con Paolo villaggio. In mano ha un mazzo di chiavi dorate che non noto subito distratto dallo spettacolo.

– Benvenuto figliolo. Sali pure…

Rimango a bocca aperta un po’ per quello che sto vedendo, un po’ perché non mi aspettavo di vederlo qui.

– Figliolo, sono Pietro, mi rivelo agli uomini con il simbolo delle loro passioni.

Guardo imbambolato Serena Grandi, i suoi fianchi, il suo seno prosperoso su cui sono certo di aver perso almeno tre diottrie. Mi fa segno di salire. Guardo le scale, guardo le mie stampelle affondate nelle nuvole.

– Grazie, ma non è che avreste un sollevatore per arrivare in cima?

Serena Grandi, si bagna le labbra con la lingua, mi guarda e senza scomporsi risponde:

– Veramente no. Se vuoi andare in paradiso ti devi impegnare.

Alzo la testa, non riesco a vedere la fine della scala.

“Non ce la farò mai”.

Sento i piedi ancora più pesanti e le gambe bloccarsi e affondare nella nuvola come nelle sabbie mobili.

Tento di alzare lo sguardo per guardare Serena Grandi negli occhi.

– Che si fa in paradiso? Preghiamo tutto il giorno e ammiriamo la luce eterna?

Serena Grandi ride.

– Allora proprio non hai capito: qui potrai trovare tutto quello che ti piace.

Serena Grandi si passa un dito tra le labbra e guardandomi con desiderio:

– E io so cosa ti piace: il calcio, la birra, la pizza davanti alla tv, il porno lesbo, il sesso, le orge e le lasagne di nonna.

In fondo come dico sempre: “tira più un pelo di fica che un carro di buoi”.

Sento che posso farcela, anzi che devo farcela. Sento le gambe uscire dalle sabbie mobili. Provo ancora una volta a mettere una stampella davanti all’altra e a fare il passo. Faccio il primo scalino, prendo coraggio. Le gambe diventano più leggere, faccio anche il secondo.

Mentre sto alzando il piede per affrontare il terzo, sento una voce gracchiante che mi sembra di conoscere:

– Credi davvero di farcela?

La gamba mi si irrigidisce di colpo, ho un crampo e frano a terra. Mi giro verso la voce e vedo vicino a me aprirsi una voragine e uscirne delle fiamme e dalle fiamme emergere lei: Zia Fernanda.

Zia Fernanda era quella che quando ero piccolo mi dava i pizzicotti sulle guance per salutarmi, sembrava una montagna e mi faceva paura e puzzava di naftalina e come se non  bastasse mi comprava la sottomarca dei pan di stelle per colazione.

Provo a puntare le stampelle sul gradino e tirarmi su con le braccia. Inizio a sollevarmi.

– Credi davvero di farcela?

Crollo al suolo. Afferro la stampella e sferro un colpo contro quel diavolo di zia Fernanda, ma lei lo schiva. Ci riprovo. Zia Fernanda schiva ancora. Sento la sua risata rimbombarmi nella testa. Senza pensarci scaglio contro zia Fernanda le mie stampelle, ma riesce a evitare tutte e due i proiettili. Perfetto ora, sono senza stampelle, ho le gambe inchiodate al suolo, ho il fiatone e sono senza forze.

– E adesso che ti inventi?

Sto quasi per arrendermi poi chiudo gli occhi e mi sembra di sentire il profumo delle lasagne di mia nonna. Sfilo una gamba dalla nuvola, poi anche l’altra e inizio a gattonare. Mi sembra proprio di sentire il rumore delle pentole e delle padelle mentre nonna armeggia in cucina. Faccio uno dopo l’altro i gradini. Zia Fernanda si lancia e mi si appende con tutto il suo peso alla caviglia.

Mi sento tirare, cerco di salire i gradini. Anche i polpacci iniziano a farmi male. Tiro un urlo di dolore, mentre strisciando sulle braccia avanzo. L’odore delle lasagne si fa sempre più forte a ogni gradino. A ogni zampata in avanti il dolore aumenta, diventa insopportabile, ma sono sempre più vicino. Quando raggiungo la cima mi sembra di sentire il sapore delle lasagne in bocca e sul palato.

Riapro gli occhi. Zia Fernanda è sparita, siamo soli io e Serena Grandi che ora mi apre le porte del paradiso.

Mentre sto entrando nella luce non posso non pensare che sono riuscito a trascinare zia Fernanda di peso fino in cima. È proprio vero: “tira più un pelo di lasagna che un carro di buoi”.

Ma a proposito: dove si faranno le orge?

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Giangiacomo Tedeschi

Giangiacomo Tedeschi è nato a Nocera Inferiore (Sa) nel 1979. Vive e lavora nella capitale come ingegnere. Dal 2012 frequenta i corsi di scrittura della scuola Genius. Nel 2016 ha vinto il concorso La ricerca della felicità, promosso dall’Istituto Goethe Italia con il racconto, L’oliva. Nel 2017 è tra i vincitori di Racconti nella rete con Tutta colpa delle favole. Nel 2021 esce il suo romanzo d’esordio “Ce la fai?” (Felici Editore). Della scuola Genius dice: "Ho seguito quasi tutti i corsi, dal percorso per scrivere il romanzo alla scrittura comica, che mi sono stati molto utili nella realizzazione del mio romanzo. Ho anche seguito il percorso intero per diventare podcaster e dal 2015 non mi perdo una full immersion estiva. Ora le cose sono due: o devo accettare di avere un bisogno patologico della scuola Genius o devo iniziare a pretendere una quota societaria per anzianità di servizio".

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