Fame

Il punto è questa fame inaspettata. Qui nella grande sala piena di affreschi. È da poco finito il funerale, sono digiuno da ieri.

Il punto è questa fame inaspettata. Qui nella grande sala piena di affreschi. È da poco finito il funerale, sono digiuno da ieri. Marco è morto in un incidente in moto e il mio stomaco si sta spalancando, proprio ora che la bara è uscita e non c’è più niente da guardare e ci sono solo io. Marco era passato piano con il verde ma era sera, notte, poche luci sulla via di Torrevecchia e poi la pioggia. Quando dalla strada laterale una grossa macchina lo ha centrato senza poi fermarsi. Il corpo è rimasto sull’asfalto un’ora, è morto subito pare. Guardo il chiostro della grande chiesa, per me la rabbia è colla, tipo pece che incolla lo stomaco. Eppure io ho fame. Una fame primitiva. E non è normale, le persone normali non hanno fame in momenti come questo; era giovane Marco e io ora mi trovo nel chiostro a morire di fame, di botto, e non so controllarla perché la rabbia copre tutto e io sono abituato mangio poco sono magro per questo, non ho mai fame. Eccolo lì il parroco, sfila nella tunica verso la sagrestia. Grasso. Quella papalina. Quella parlata trascinata musicale che dipinge il disegno di Dio, ha detto. Ha la faccia da maiale. Quasi ci vedo la mela in bocca. Guarda il doppio mento. Dio il doppio mento. Una spalla di maiale sembra, che fame. Mi avvicino.
È grasso con le gambe magre, costoletta di abbacchio voglio chiamarlo.
– Hey costoletta! Come butta? Immagino di chiamarlo. Mi avvicino.
Quelle coscette. Gambette scheletriche su questo ventre dilatato, corposo, lipidico. Sugnoso. E ho una fame che me lo mangerei il parroco con tutto il disegno di Dio per Marco.
Altro scatto in avanti, sono dietro di lui. Se fa un altro passo così invitante, così molle, Dio, lo assaggio. Si muove.
Gli do un morso. Un morso sotto al bicipite stringendo i denti e muovendo la lingua dove la pelle dondola come la coscia di un pollo ben cotta, arrostita, sapida, il sangue è tiepido. Lui strilla. Che strilla? Penso, che ti strilli, che hai Dio che ti ridisegna il corpo dopo morto.
Marco avrà strillato? Avrà sentito il cranio aprirsi e la memoria gocciolare sull’asfalto? Chiudo la bocca. Stringo i denti.
Allungo il passo.
Dio come ti muovi, quasi mi eccita un pasto così ricco. Ancora. Ho fame tanta fame e Marco è intrappolato in un disegno divino e nel disegno a Dio ci faccio ficcare pure il parroco.
La pelle viene via. La sfilaccio come fosse bollito, tiro indietro il collo e il grido del parroco si sente fino in cielo che forse pure Marco l’ha sentito e sicuro Dio no perché tanto sta disegnando. Ma il grido di Marco no, la macchina è scappata e lui è rimasto sull’asfalto a morire. Forse non sul colpo, forse sì e a me la fame aumenta. Forse è morto gridando e nessuno ha fatto in tempo perchè non l’hanno sentito subito.
Il grassone con la tunica, il bel maiale pieno di sugna ha tutta la palandrana insanguinata sul braccio adesso, ho così fame che mangerei pure quella. Invece ne prendo un lembo lo tiro e viene via tutto. Bel corpo. Bello, pieno, arrotolato. Ovunque mordo, godo. Un morso a un grosso stinco di maiale arrosto.
Lo afferro per le gambe. Lui cade, i testicoli sono attaccati a un lembetto di carne, e gli sono sopra. È davvero tanto. Un altro morso dritto sull’occhio, molle, un uovo, un occhio di bue, un occhio che sembrava di vetro mentre parlava di Marco e della resurrezione, un vetrino dentro palpebre calate e guarda un po’, invece me lo succhio come un’ostrica. Poi succhio l’altro. Ci metto dentro la lingua, magari arrivo al cervello, ci sarà Dio lì dentro? Devo chiederlo a qualcuno.

– Ma Dio, o la fede, questi, li celano nel cervello o nel cuore? – Lo chiedo che il parroco è svenuto e io ho la bocca impastata di sangue e carne.
Mmh, tutto cavo qui dentro la cavità oculare. Tiro fuori la lingua, mordo la testa. Mi fanno male i denti. Marco a terra ha sbattuto la testa, si è aperta, il casco si è aperto come un cocomero con tutta la testa, che non riuscivano a toglierla dal casco. E questa bella testa di parroco con tutta la papalina ora ha un segno dei miei denti, poi un altro, poi un terzo e finalmente ecco, il terzo morso spezza il cranio. Bel rumore. Dente contro ossa. Stessa sensazione del midollo di agnello quando mordi per sbaglio.
Esce questo cervello che se avessi una cannuccia lo finirei in un istante, cola sul palato corposo, lipidico, dolciastro. Il parroco ha gridato poco. Pensavo peggio, è morto subito. Chissà se Marco ha smesso subito, chissà se in ambulanza mi ha pensato, l’amico di sempre che non vedeva da un po’.
Alzo la testa, ho ancora fame. Mi viene da piangere dalla fame. Dio che fame.
– Dio mi senti? Per me tu non esisti. Ma se esisti, fammelo ingoiare tutto questo parroco, disegnami una bocca grande quanto questo pezzo di carne e fammelo mangiare tutto. Voglio soffocare la rabbia sull’asfalto, sazio. E se tanto Marco non torna, nel suo disegno ci voglio questo parroco saporito.

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Andrea Fassi

Pronipote del fondatore del Palazzo del Freddo, Andrea rappresenta la quinta generazione della famiglia Fassi. Si laurea in Scienze Politiche e Relazioni Internazionali coltivando l’interesse per la scrittura. Prima di seguire la passione di famiglia, gira il mondo ricoprendo diversi ruoli nel settore della ristorazione ed entrando in contatto con culture lontane. Cresciuto con il gelato nel sangue, ama applicare le sue esperienze di viaggiatore alla produzione di gusti rari e sperimentali che propone durante showcooking e corsi al Palazzo del Freddo. Ritorna al passato dando spazio al valore dell’intuito invece dei rigidi schemi matematici in cui spesso oggi è racchiuso il mondo del gelato. Combina la passione per il laboratorio con il controllo di gestione: è l’unico responsabile del Palazzo del Freddo in qualità di Amministratore Delegato e segue la produzione dei locali esteri in franchising dell’azienda. In costante aggiornamento, ha conseguito il Master del Sole 24 Ore in Food and Beverage Management. La passione per la lettura e la scrittura lo porta alla fondazione della Scuola di scrittura Genius nel 2019 insieme a Paolo Restuccia, Lucia Pappalardo, Luigi Annibaldi e ad altri editor e scrittori. Premiato al concorso “Bukowsky” per il racconto “La macchina del giovane Saleri”, riceve il primo premio al concorso “Esquilino” per il racconto “Osso di Seppia” e due menzioni speciali nei rispettivi concorsi “Premio città di Latina” e “Concorso Mario Berrino”. Il suo racconto “Quando smette di piovere”, dedicato alla compagna, viene scelto tra i migliori racconti al concorso “Michelangelo Buonarroti”. Ogni martedì segue la sua rubrica per la scuola Genius in cui propone racconti brevi, pagine scelte sui sensi e aneddoti dietro le materie prime di tutto il mondo. Per la testata “Il cielo Sopra Esquilino” segue la rubrica “Esquisito” e ha collaborato con il sito web “La cucina italiana” scrivendo di gelato. Docente Genius di scrittura sensoriale, organizza con gli altri insegnanti “Il gusto per le storie”, cena evento di degustazione di gelato in cui le portate si ispirano a libri e film.

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