L’atelier di Simone de Beauvoir

La telefonata dall’ospedale era giunta alle nove di un mattino di aprile. Quando lei era arrivata il padiglione era già assediato da giornalisti e fotografi

L’appartamento di Simone, fino ad allora gaio e confortevole, aveva perso tutta la sua luce. Quello che l’agente immobiliare aveva definito un “atelier d’artista con loggia” aveva cambiato colore. Simone fissò l’elegante moquette color talpa, sembrava più scura, “adesso evoca il lutto” pensò.

Dopo il funerale di Sartre lei aveva dormito per tre giorni, era caduta chissà come dal letto e rimasta seduta sulla moquette. L’avevano ritrovata così, delirante e con la febbre. Non era andata poi alla cremazione, si sentiva sfinita, nella testa la voce di lui, che voleva essere cremato, che non voleva essere sepolto al Père-Lachaise, tra la madre e il patrigno, per carità!

Ripensò a quando Sartre rimaneva a dormire da lei, un paio di sere a settimana, cenavano alla Coupole, due passi per Montparnasse e poi a casa, a sorseggiare whisky o vodka, mentre Simone gli leggeva qualche libro ad alta voce, oppure a giocare a dama mentre ascoltavano dischi. L’ultimo autunno passato insieme era stato magnifico, ne ricordava la luce azzurra e dorata che entrava dalle vetrate.

Quella casa li aveva accolti al ritorno dai tanti viaggi, Roma, Venezia, Atene, Saint Paul de Vence, dalle manifestazioni, i processi, le commemorazioni, i dibattiti a Parigi, ovunque, tutti volevano Sartre e lui andava da tutti, senza risparmiarsi, anche se la salute non era più quella di prima.

La telefonata dall’ospedale era giunta alle nove di un mattino di aprile. Quando lei era arrivata il padiglione era già assediato da giornalisti e fotografi.

Simone aveva chiesto di poter restare sola con lui, gli si era sdraiata accanto sul lenzuolo e aveva dormito un po’. Alle cinque erano venuti gli infermieri, avevano avvolto Sartre in una specie di sacco e l’avevano portato via.

Due giorni prima, con gli occhi chiusi, lui le aveva stretto il polso e le aveva detto: «Vi amo molto, mio piccolo Castoro» (l’aveva sempre chiamata così).

Sartre aveva tenuto gli occhi chiusi mentre lei lo baciava sulla bocca.

La tua morte ci ha separati, la mia morte non ci riunirà, pensò Simone, mentre i suoi occhi cercavano, senza nessuna speranza, l’azzurro e l’oro di quell’ultimo autunno.

 

Citazioni da: Simone de Beauvoir, La cerimonia degli addii, Einaudi.

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Loredana Germani

È tra i fondatori della Scuola di scrittura creativa Genius. Dopo gli studi in Storia e Letteratura italiana, scrive diversi racconti autobiografici e articoli in cui descrive incontri con autori. Ha curato l’antologia di racconti A Roma San Giovanni e tiene la rubrica Vita da scrittore sulla rivista letteraria Dentro la lampada, nella quale narra opere e aneddoti di grandi personaggi letterari.

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