Guarda accigliato l’andirivieni di Via Veneto dalla vetrina della libreria Rossetti, irritato da tutta quell’effervescenza. Siede con il bastone in mano, fra le undici e mezzogiorno, sulla solita poltroncina a braccioli tinta mogano con il fondo in similpelle verde, accanto al tavolino sommerso di libri e di cataloghi. Il libraio risponde con un risolino nervoso, a scatti, quando Vincenzo Cardarelli, drizzate le orecchie, interviene nelle chiacchiere, ostile e irato contro il povero avventore.
“Badi di non raccontarci cose terribili. Ne abbiamo già sentite tante. Ci faccia grazia”. Il cliente si spaventa, indietreggia e s’interrompe. Cardarelli lo incalza.
“Che voleva dire? Coraggio. Che la vita è difficile. Che siamo diventati tutti gente impossibile, lo sappiamo. Che altro?” Poi riprende in severo silenzio e con la faccia imbronciata a seguire il viavai della strada.
Quando suona il mezzogiorno, si tira su dalla sedia e con la medesima espressione corrucciata, senza guardare né salutare nessuno, si avvia ad uscire. Sono lontani i tempi della Ronda, quando la sera passeggiava per il Corso Umberto fino alle due di notte, in compagnia di Bacchelli, Gargiulo, Cecchi e del conte Aurelio Saffi, e incontenibile commentava fatti e vicende umane con la proverbiale foga e la voce tagliente.
Un giorno Amerigo Bartoli affacciatosi in libreria, lo aiuta a rimettersi in piedi, lo accompagna attento, pian pianino, in mezzo alla folla affaccendata o seduta ai tavolini dei caffè, uomini donne ignari di prosatori e poeti. Bartoli lo aiuta a salire sulla sua Topolino e gli dà un passaggio, Cardarelli rimane a fissare la strada, quasi con cipiglio, arrabbiato con il mondo che non lo riconosce, mentre Bartoli gli sorride imbarazzato.
Qualche mese dopo Vincenzo Cardarelli smette di frequentare la libreria. Lo si incontra invece al caffè Strega, seduto su una poltroncina azzurra di ferro smaltato. Rimane indifferente alla bibita posata sul tavolo e alla gente di ogni paese che gremisce la via trafficata ed elegantissima. Non attraversa più la strada per recarsi in libreria, la marea di macchine lo scoraggia.
Al segnale del mezzogiorno si alza lento, con le gambe infiacchite dalla malattia che subisce come un nuovo tormento alla solitudine. Raggiunge il portone della pensione dove abita, a poca distanza dall’hotel Excelsior. Il poeta dei Prologhi e delle Favole muore in ospedale, povero e solo.