L’autobiografia di Anton Čechov

Col tempo certe note di tristezza e di malinconia trasformano il riso in ironia.

Da ragazzo architetta scherzi e burle con il fratello, corre nel giardino della casa a Taganròg, ride veramente di cuore, con la gioia di vivere e di godere. Non se la prende per i soprannomi che gli affibbiano, in casa lo chiamano “bomba” per le dimensioni sproporzionate della testa e al ginnasio “girino” per lo stesso motivo. Con il fratello scommette di riuscire a impossessarsi di una mela in giardino, sotto gli occhi vigili del nonno, severo guardiano del frutteto. La sfida viene accettata, Anton la vince giocando alla cavallina. Con un salto sulla schiena del fratello trova il modo di cogliere il frutto mentre il nonno ride e non brontola. Gli piace recitare. Una volta dalla stanza in cui le allegre commedie si svolgono, giungono delle grida strazianti. Anton fa da dentista, il fratello Alessandro da paziente. Si decide l’operazione finale, agguanta le molle del caminetto e le caccia in bocca al malato. Ed ecco, ne estrae un tappo di sughero!

Così la mentalità di Čechov fiorisce con improvvisazioni piene di spirito e di verve. Sa benissimo fingere di parlare al telefono con un individuo qualsiasi, tanto da trarre in inganno le persone che si trovano a poca distanza. Ama truccarsi. Un giorno si traveste da mendicante con tale abilità che anche i parenti più stretti non lo riconoscono. Attraversa la città, si presenta umilmente alla casa di uno zio che gli apre la porta e che alla supplica scritta per la circostanza gli dà una ricca elemosina.

Col tempo certe note di tristezza e di malinconia trasformano il riso in ironia. Prigioniero della grigia atmosfera di una vita borghese, non vuole e non può più ribellarsi.

Non è difficile riconoscere l’artista Cechov nell’autobiografia richiesta dal drammaturgo Vladimir Tìhonov. Si descrive quasi in tono di scherno e ci rende chiara la sua ironia. Sente lo snervante tedio dei “giorni grigi”, uguali tra loro, e guarda la propria esistenza, così come guarda quella degli altri, con precisione scientifica, e ci ride sopra. Accarezza con un sorriso compassionevole e poi stronca quasi con disprezzo.

“Volete la mia autobiografia?” scrive “Eccola:

“Io sono nato a Taganròg nel 1860 (17 di gennaio). Nel 1878 finii i miei corsi al ginnasio di Taganròg. Nel 1884 terminai il mio corso all’Università di Mosca nella facoltà di medicina. Nel 1888 ricevetti il premio Puškiniano. Nel 1895 feci un viaggio a Sahalìn, tornando per mare. Nel 1891 feci una tournée in Europa, dove bevvi del buonissimo vino e mangiai delle ostriche. Nel 1892 mi divertii per l’onomastico di V. H. Tìhonov. Cominciai a scrivere nel 1879 sulla “Libellula”. Le raccolte delle mie opere sono le seguenti: “Nel crepuscolo”, “Gente imbronciata”, e il racconto “Il duello”. Ho peccato anche nel genere drammatico, benché moderatamente. Sono tradotto in tutte le lingue, eccetto quelle straniere. Però già da molto tempo sono stato tradotto dai Tedeschi. I Cechi e i Serbi anch’essi mi approvano, ed i Francesi non sono estranei all’approvazione. I misteri dell’amore li conobbi a 13 anni. Con i compagni, tanto letterati che medici, mi trovo in ottimi rapporti. Di medicina mi occupo a tal punto che, durante l’estate, eseguo talvolta le autopsie che non ho più fatto da due tre anni. Tra gli scrittori preferisco Tolstoj e tra i medici Zahárin. Del resto tutte queste sono sciocchezze. Se mancano i dati, sostituiteli con una lirica”.

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