Il monolocale, in una zona a sud di Stoccolma, era davvero piccolo e malridotto: le assi sconnesse del pavimento scricchiolavano sotto i passi leggeri di Nelly e quelli ancora più leggeri di sua madre.
In fondo alla stanza, un lucernaio dai vetri sporchi lasciava intravedere un lembo di cielo livido senza nuvole.
Nelly si voltò a guardare sua madre, e incrociò i suoi occhi smarriti, pieni di lacrime.
“Vedrai, mamma, dopo che avrò fatto le pulizie questa stanza sembrerà più grande!”
La madre continuò a guardarla, mentre Nelly si muoveva per il locale e con movimenti febbrili spostava una sedia traballante o raccoglieva un vecchio giornale dal pavimento.
Berlino era lontana, e per fortuna erano riuscite a fuggire prima che arrivasse l’ordine di deportazione, come era successo a tanti amici e parenti rimasti nella Germania nazista.
Avevano lasciato tutto per poter mettersi in salvo, e ora Nelly si ritrovava in una città straniera senza mezzi e con una madre malata.
Accetterò quel posto da lavandaia, pensò Nelly, mentre si guardava le mani bianche e delicate. All’inizio dovevano pur mangiare e pagare l’affitto, poi chissà?, magari avrebbe potuto trovare qualche altro lavoro.
Berlino, la loro bella casa, la passione per la poesia e per la danza, sembrava tutto così lontano, ora.
Qui c’è un letto, mamma, vieni a sdraiarti. L’anziana donna si lasciò prendere per mano come una bambina, poi sedette sul bordo del letto e rimase a guardare la figlia che misurava la stanza con i passi.
Il cielo grigio aveva lasciato il posto al buio della sera.
Nelly si girò: la madre era una sagoma scura, circondata dall’oscurità.
Domani mi procurerò un lume per la notte, le disse, mentre le cercava la mano per stringerla forte.
Bibliografia:
Nelly Sachs, Poesie, Einaudi;
Nelly Sachs, Lettere dalla notte (1950-1953), Giuntina.