Ogni giorno il ragazzino di dieci anni doveva attraversare la Villa Comunale di Napoli per andare a scuola.
Quella mattina c’era una luce chiara, il fogliame degli alberi era mosso dal vento leggero che spettinava Raffaele mentre camminava a passo spedito per non arrivare in ritardo.
Una folata più forte delle altre portò qualcosa di giallo che, per un attimo, frullò davanti ai suoi occhi, poi sentì una leggera pressione sulla spalla e, istintivamente, rallentò fino a fermarsi. Con la coda dell’occhio si accorse che era un canarino, forse un colpo di vento l’aveva fatto cadere da un albero, e ora stava lì, le zampette tremanti aggrappate alla sua spalla.
Raffaele rimase immobile senza quasi respirare, per paura che l’uccellino volasse via. Un’ondata di calore lo invase, mentre il cuore gli batteva forte. Il portone della scuola sarebbe stato chiuso tra poco, se si fosse messo a correre sarebbe riuscito a entrare, ma non poteva, finché il canarino fosse rimasto aggrappato a lui.
Sull’onda di un colpo di vento più forte l’uccellino spiccò il volo, e Raffaele rimase a guardarlo, la cartella in mano, finché non lo vide sparire tra gli alberi.
Al ritorno da scuola raccontò subito alla mamma di quell’incontro mattutino; la donna sorrideva, di fronte all’entusiasmo del bambino, e lo incitava a mangiare prima che il cibo si freddasse ma poi guardò gli occhi di suo figlio e vide il piacere che provava nel raccontare, e come cercasse le parole giuste per far capire la gioia provata, anche se era durata pochi minuti.
La mamma riportò in cucina il piatto intatto, poi raggiunse il figlio sulla terrazza di Palazzo Donn’Anna dove vivevano.
Raffaele guardava il mare e il cielo come non li avesse mai visti prima.
Bibliografia:
Raffaele La Capria, L’armonia perduta, Mondadori;
Raffaele La Capria, Palazzo Donn’Anna. La memoria immaginativa, Electa.