Nelle lezioni precedenti:
- Lezione 1: I tre atti
- Lezione 2: Battere il nemico
- Lezione 3: Il desiderio del protagonista
- Lezione 4: Il fatal flow
- Lezione 5: Fight for your right to zombie
- Lezione 6: Punire Paolo
- Lezione 7: Il buono, il brutto e il cattivo
- Lezione 8: Lo stile
Tutto normale
“Com’è essere uno zombie?” ho chiesto a Oronzo. Eravamo tutti ubriachi dopo la festa preelettorale. Cioè, ero ubriaco solo io, visto che gli zombie possono bere ma non possono ubriacarsi.
“Che domanda è?” mi ha chiesto. Teneva in mano una sigaretta accesa che si andava consumando tra le falangi senza che nessuno la fumasse. Gli zombie non hanno i polmoni, non possono comprimere l’aria e bruciare la sigaretta. Però Oronzo si teneva stretto quel vizio che lo aveva segnato e ucciso nella vita e che voleva tenersi per l’eternità.
“È una domanda come un’altra. Voglio sapere cosa si prova a…”
“A fare che? A non avere più un corpo?”, aveva portato la sigaretta alla bocca e poi l’aveva riportata giù. Sembrava un mimo fatto di ossa. “Ecco cosa si prova. Sei solo un’imitazione di quello che eri un tempo”.
“Ma io non intendo la sensazione fisica”, ho detto, “cosa si prova a essere così… Nel… Insomma nel cervello… Nei pensieri”.
Stava facendo il finto tonto ma volevo una risposta. Quella sera ero stanco e arrabbiato. Non ne potevo più di quel loro modo di essere, di quel trascinarsi lentamente verso il nulla. Ok, stavano vincendo la sfida elettorale, ma la sensazione era non stesse accadendo nulla di bello o emozionante. Per gli zombie niente sembra fare la differenza perché non ridono, non piangono, non si esaltano, non si sentono morire come capitava a me, certe sere.
“Ti dico una cosa”, ha detto Oronzo, “io non ho accettato questa condizione per tanto tempo. Poi però mi sono dovuto arrendere. Quando ti ci ritrovi, e non te lo auguro, non si può tornare indietro. Quando ti svegli così, rimani così. Lo sai perché prima di tutto questo uscivamo solo di notte?”
“Perché c’era una legge che non vi permetteva di uscire prima?”
“Gli zombie vanno in giro di notte da sempre e la legge non c’entra niente. La legge non ha fatto altro che istituzionalizzare quello che eravamo già. Corpi vuoti che vagano senza scopo”.
Ha buttato la sigaretta spenta a terra e si è guardato intorno. Voleva controllare che nessuno stesse ascoltando, poi ha orientato le orbite verso di me.
“La verità è che noi non sopportiamo le persone in vita, perché noi non siamo altro che ombre di quello che siamo stati un tempo”.
Aveva una voce profonda che non avevo mai sentito fino a quella sera. Avrei voluto troncare il discorso in quel momento perché sapevo che avrei sentito qualcosa che non volevo sentire.
“Sai tutte quelle cazzate sull’anima?” mi ha detto, “Beh, non sono vere. Non c’è niente oltre la carne. Tu sei tutta questa carne e questo sangue che ti porti addosso. Basta. Però la carne c’è ed è viva. E la carne è tutto. Pensa all’universo”, ha detto e con ulna e radio ha indicato il cielo, “la maggior parte di quella roba lassù è antimateria e noi vediamo solo una piccolissima parte, quella visibile. Ed è quella parte che ci emoziona. Dell’antimateria non gliene frega un cazzo a nessuno. Noi zombie siamo come stelle collassate. Ci siamo ma è come se non ci fossimo. Eppure, ci siamo. Proprio come l’antimateria”.
Ha dato fuoco a un’altra sigaretta.
“Stiamo qui a guardare voi, che non siete stelle collassate, che siete così vivi e così presi dal vostro presente. Se ci pensi è da pazzi…”
“Cosa?” ho chiesto.
“È da pazzi il fatto che quando prendiamo coscienza di chi siamo, accettiamo di stare al mondo sapendo che un giorno a un’ora ben precisa tutto finirà”.
“Tutto ha una fine, Oronzo. Anche i romanzi hanno una fine”, ho detto, “se vogliamo rimanere in tema con le lezioni”.
“Certo”, ha detto lui, “solo che quando finisci un libro chiudi l’ultima pagina te ne vai al bagno, ti fai una bella cacata, ripensi a quello che hai letto e pensi a quanto è stato bello o emozionante o noioso. Poi passi ad altro. Che ne so, magari ti fai una sega o ti metti a fare le parole crociate. Invece, quando finisci tu, quando muori, non ti lasciano nemmeno dieci minuti per riflettere su com’è andata la tua vita, per valutarla nella sua interezza. Te ne vai e basta, cazzo. Ci vuole un secondo. Altro che tunnel e cazzate varie. Ti spegni come una lampadina a incandescenza. Praticamente ti cacciano via dalla vita sbattendoti la porta in faccia. È una grandissima inculata, è tutto senza senso”.
“Però le persone… Cioè, voi invidiate le persone… In che senso?”
“Guardati. Guarda i vivi. Stanno lì e si dannano. Vi invidiamo perché continuate a combattere una guerra persa in partenza”.
“Però anche voi state combattendo”, ho fatto notare, “e a quanto pare siete in forte vantaggio nei sondaggi”.
“I sondaggi. Ma che cazzo. Tu sei un romantico”, mi ha detto, “per questo non sai leggere la verità. Ma non vedi che questa cosa delle elezioni è un gioco al massacro? Non ce lo faranno mai fare, te ne rendi conto?”
“Nel senso che non vincerete? Truccheranno le elezioni?”
“No, scemo. Non gli serve. Ci faranno vincere e poi ci schiacceranno come tanti piccoli animali striscianti. E il bello sai qual è?”
Ho scosso la testa.
“Che non potremo nemmeno morire. Ci prenderanno a manganellate causandoci danni eterni e irreversibili. Perché loro lo sanno. Voi lo sapete. Quello che ci muove è solo l’invidia, non una vera spinta alla vittoria e alla rivoluzione. E l’invidia ha le gambe più corte della menzogna, amico mio scemo”.
Mi sono voltato. Fuori dalle mura del Verano, oltre i cipressi, il sole stava spuntando sul giorno delle elezioni. Mi sono alzato in piedi e mi sono stiracchiato.
“Mi dispiace”, ha detto Oronzo.
“Di che?”, ho chiesto ma non ha risposto. Si è alzato e si è allontanato, in direzione della sua tomba. L’ho visto percorrere il vialetto mentre il sole gli trapassava le costole e i vestiti strappati. Solo in quel momento mi sono accorto che non proiettava nessuna ombra.