In una fredda mattina di novembre, una gondola solitaria coperta di fiori veniva dall’isola di San Giorgio e si dirigeva verso l’isola di San Michele: il cimitero di Venezia, quel giorno, avrebbe accolto le spoglie di Ezra Pound, il matto, il fascista, l’antisemita, il poeta.
Era approdato a Venezia per trascorrervi gli ultimi anni di una vita difficile, e si era guadagnato un posto nel settore acattolico, lo stesso di Sergej Djagilev e Igor Stravinskij.
I veneziani guardavano con curiosità il vecchio poeta, silenzioso, con il volto scavato, i capelli e la barba bianchi, mentre passeggiava lentamente alle Zattere assorto in un rigoroso silenzio, in compagnia di sua moglie, Olga Rudge.
Nicoletta Strambelli, una ragazzina bionda amante della musica, li aveva incontrati un giorno alla Giudecca. Ignorava chi fossero, ma si era soffermata a guardarli incuriosita: lui sembrava un Jimi Hendrix invecchiato, la torre di capelli scomposta in riccioli e il pizzo; Olga Rudge, incrociando i magnifici occhi verdi della ragazza, le aveva sorriso.
Fu così che la futura Patty Pravo, il poeta che era stato rinchiuso per tredici anni in un manicomio criminale e la violinista americana si ritrovarono seduti al tavolino di un bar, a gustare, in un silenzio pieno di sorrisi, il primo gelato della stagione.
Bibliografia:
Ezra Pound, XXX Cantos, Guanda;
Ezra Pound, Canti postumi, Mondadori.