Il citofono suonò tre volte, Sandro era arrivato.
Patrizia calzò la cloche rosso fragola e scese le scale ripide del vecchio stabile. Dal portone aperto Campo de’ Fiori le apparve con i suoi rumori e i suoi umori: le grida di richiamo dei vignaroli con le ceste cariche di uva nera, l’odore forte dai banchi del pesce, e una folla che si aggirava tra le cassette di legno accatastate, camminando su una distesa di foglie e gambi d’ortaggi avvizzite.
Sandro Penna stava appoggiato a un lampione, tutto in tiro con una giacchetta bianca che lo faceva sembrare un barman.
Ciao Patrì, che bel cappellino! la salutò con un sorriso allegro.
Sei in ritardo, disse lei, baciandolo su una guancia. Avevano un appuntamento con la Morante per l’ora di pranzo, era quasi l’una e ad Elsa non piaceva aspettare.
Sandro la prese sottobraccio e cominciò a parlarle del nuovo libro, del nuovo editore, dei nuovi amici senza accorgersi che lei, invece, di parlare non aveva proprio voglia.
Mentre camminavano verso il ristorante, Patrizia ripensava a quando era venuta da Todi a Roma per studiare filosofia. Aveva incontrato la Morante e per un paio di anni si erano frequentate assiduamente. Un bel giorno, però, mentre tornavano dal ristorante a Piazza Navona, Elsa si era fermata all’improvviso e con l’aria più minacciosa della terra l’aveva guardato e le aveva detto: ma insomma tu, che fai? Patrizia sapeva che per la Morante la poesia era il massimo, e con impudenza giovanile e per fare colpo su di lei aveva risposto: scrivo poesie.
Elsa l’aveva guardata con aria incuriosita: “ah sì? beh, fammele leggere, non perché mi interessino dal punto di vista letterario, voglio solo vedere come sei fatta”.
Da quel giorno era cominciato l’incubo. Tornata a casa, si era seduta davanti a un quaderno, a fissare il muro con la penna in mano. Poi si scosse, dimenticò la Morante e tutto il resto e scrisse, scrisse fino a sera.
Nel 1974 era arrivata la prima raccolta di versi, con la dedica proprio a Elsa Morante.
Ecco Elsa, oddio, è già arrivata! Sandro le lasciò il braccio per correre ad abbracciare la Morante, anche lei con un cappello, bianco a tesa larga, e la faccia un po’ ingrugnata.
Sandro prese sottobraccio la Morante e ricominciò a parlare senza posa, Elsa restava muta, lei li seguiva a pochi passi di distanza.
Seduti al ristorante Sandro si era finalmente accorto del mutismo della Morante e con quella vocetta gne gne che si ritrovava se ne uscì con: Elsa, Elsa, sei contenta di stare a pranzo con due poeti?
Patrizia chiuse gli occhi, e si irrigidì in attesa della sfuriata inevitabile: l’avevano fatta aspettare, e Penna l’aveva sfinita con le sue chiacchiere.
La Morante guardò entrambi con uno sguardo gelido, poi sentenziò: “Io sono più poeta di voi”.
S’era fatta l’ora di tornare a casa.
Bibliografia:
Patrizia Cavalli, Le mie poesie non salveranno il mondo, Einaudi;
Patrizia Cavalli, Sempre aperto teatro, Einaudi.