Virginia Woolf e l’ultima lettera

Virginia posò la penna sul tavolino e ripiegò con cura la lettera indirizzata a Leonard, suo marito, poi aprì di nuovo il foglio e vergò in fretta la data, 24 marzo 1941.

Carissimo,

sono certa di stare impazzendo di nuovo. Sento che non possiamo affrontare un altro di quei terribili momenti. E questa volta non guarirò. Inizio a sentire voci, e non riesco a concentrarmi. Perciò sto facendo quella che sembra la cosa migliore da fare. Tu mi hai dato la maggiore felicità possibile. Sei stato in ogni modo tutto ciò che nessuno avrebbe mai potuto essere. Non penso che due persone abbiano potuto essere più felici fino a quando è arrivata questa terribile malattia. Non posso più combattere. So che ti sto rovinando la vita, che senza di me potresti andare avanti. E lo farai, lo so. Vedi, non riesco neanche a scrivere come si deve. Non riesco a leggere. Quello che voglio dirti è che devo tutta la felicità della mia vita a te. Sei stato completamente paziente con me, e incredibilmente buono. Voglio dirlo – tutti lo sanno. Se qualcuno avesse potuto salvarmi, saresti stato tu. Tutto se n’è andato da me tranne la certezza della tua bontà. Non posso continuare a rovinarti la vita. Non credo che due persone possano essere state più felici di quanto lo siamo stati noi.

V.

Virginia posò la penna sul tavolino e ripiegò con cura la lettera indirizzata a Leonard, suo marito, poi aprì di nuovo il foglio e vergò in fretta la data, 24 marzo 1941.

Dalla finestra della stanza vedeva ondeggiare le cime degli alberi, carichi di gemme. A fine marzo la campagna del Sussex si tingeva di nuovi colori, ma stavolta la primavera imminente non provocava alcun effetto su Virginia, molto provata dalla depressione cronica che l’affliggeva da tempo.

Quando avevano lasciato Londra, divenuta ormai un inferno quotidiano a causa dei bombardamenti, Virginia aveva sperato che la quiete di Rodmell avrebbe giovato ai suoi poveri nervi, ma non era stato così.

Con la mano cercò il bastone per alzarsi, ormai non riusciva più a camminare senza.

Indossò il cappotto di pelliccia e aprì la porta di casa, un vento fresco le scompigliò le ciocche di capelli sfuggite alle forcine.

Con passo lento ma deciso si incamminò in direzione del torrente Ouse, fermandosi ogni tanto a raccogliere sassi bianchi e levigati da mettere nelle tasche del cappotto, fino a riempirle.

Arrivata in riva al fiume lasciò cadere in terra il bastone e cominciò ad avanzare dentro l’acqua ancora fredda, a passi lenti e senza voltarsi.

Fu ritrovata il 18 aprile da un gruppo di ragazzi in gita che, all’inizio, l’avevano scambiata per un tronco d’albero.

Del luogo dove fu trovata aveva scritto: Amo questo paesaggio alluvionato, quest’acqua selvaggia, il suo moto invasivo, i grandi tronchi che galleggiano e i grandi stormi di uccelli neri.

Bibliografia:

Virginia Woolf, Diario di una scrittrice, Mondadori;

Virginia Woolf, Un riflesso dell’altro. Lettere 1929-1931, Einaudi.

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