Oggi parleremo di finali. Il finale (explicit) di un romanzo (e di un racconto) è altrettanto importante dell’incipit perché è il momento del congedo del lettore da parte dell’autore: il lettore finisce il suo viaggio all’interno del libro e torna nel mondo.
Il finale deve contenere in poco spazio un’idea in qualche modo riassuntiva di tutto il romanzo.
Secondo Aristotele, il grande filosofo greco, al finale deve corrispondere la cosiddetta “catarsi”, cioè quando tutta la tensione accumulata durante la narrazione deve sciogliersi.
Qualcuno ha detto che l’incipit invoglia il lettore a procedere nella lettura del romanzo, mentre il finale serve a farglielo ricordare.
Il finale può essere aperto o chiuso.
Il finale chiuso conclude la vicenda. Un classico finale chiuso è la morte dell’eroe, come per esempio in Madame Bovary di Gustave Flaubert, nel quale la protagonista si suicida ingoiando dell’arsenico, o al gemello Anna Karenina, capolavoro di Tolstoj, che finisce sempre con il suicidio della protagonista che si butta sotto a un treno (in realtà Anna Karenina e Madame Bovary continuano per altre pagine oltre la morte delle rispettive eroine, affinché tutte le vicende secondarie possano spiegarsi e chiudersi). Perché in un finale chiuso la storia deve chiudersi insieme a tutte le sottostorie.
Il finale aperto invece non chiude, cioè non conclude, la storia. La lascia sospesa, appunto aperta. Il finale aperto è molto usato dai moderni e dai postmoderni, insomma è molto usato dal 900 in poi.
Finale circolare: riporta il lettore al punto iniziale. Si conclude il romanzo con lo stesso concetto, immagine o parole usati all’inizio. Si conclude la storia, quindi, da dov’era cominciata. Si possono semplicemente ripetere gli eventi, oppure sviluppare tutta la storia come un lunghissimo flashback. Come ad esempio nel bellissimo film Il piccolo grande uomo di Arthur Penn del 1970. Le vicende vengono narrate in prima persona dal vecchio Jack Crabb (che ha raggiunto la veneranda età di 121 anni) a un giornalista interessato alla battaglia del Little big Horn e al processo di integrazione tra nativi americani e coloni. Alla fine della storia, Il protagonista congeda il giornalista a cui ha raccontato la sua vita e la trama circolare si chiude.
Abbiamo una trama circolare anche in Pulp Fiction che finisce ricollegandosi alla scena iniziale della rapina in un ristorante, vi ricordate? (costruzione atemporale).
Finale in medias res: così come esiste l’incipit in medias res, esiste anche il finale in medias res, oggi sempre più adottato. Il romanzo finisce quando la storia non è ancora finita, ad esempio, con un gesto, una descrizione o un dialogo. Si ha la sensazione di un finale sospeso, ambiguo, che vuol dare l’impressione che la storia sia molto più lunga (inizia prima e finisce dopo) e noi siamo spettatori solo di un segmento.
Una storia, inoltre, può finire bene o male. Nel primo caso si avrà il cosiddetto lieto fine.
Lieto fine. È una delle tipologie più tipiche e anche quella più catartica e rassicurante per il lettore. Al termine di una storia più o meno drammatica o intricata, il protagonista o i protagonisti ottengono ciò che cercavano, coronano un amore, sventano un attentato, realizzano un progetto; in sostanza, tutto va per il verso giusto. Si chiude il libro, o si esce dal cinema, presumibilmente soddisfatti, ma anche un po’ presi in giro, abbindolati.
Poi c’è il finale a sorpresa, quando nelle ultime righe viene proposta una fine inaspettata, a sorpresa appunto, che molte volte ribalta il senso del racconto. I finali con ribaltamento sono una variante del finale a sorpresa: ribaltano di senso la storia, propongono di riconsiderare tutta la storia alla luce di una nuova prospettiva.
Finali che rilanciano la storia, dando a intendere che non sia finita, che possa ripartire… Come nei cicli romanzeschi di Balzac La commedia umana, o di Zola, I Rougon-Macquart. Oggi li definiremmo seriali, come nelle serie televisive odierne.
Ha scritto William Goldman che la chiave per il finale di ogni storia sta nel dare al pubblico ciò che vuole, ma non nel modo in cui se lo aspetta.
Errori da evitare nello scrivere un finale:
- Per esempio, scrivere due finali, a me è capitato diverse volte. Ne hai due a disposizione, e non ti sai decidere, e alla fine per non perderle le metti entrambe, è un errore madornale… così disperdi l’energia accumulata nel climax.
- Non risolvere le sottotrame e abbandonare i personaggi minori.
- Allungare il brodo. Il finale deve essere breve, conciso. Il rischio è quello di annullare l’effetto del climax.
- Lasciare irrisolte le domande del protagonista, o rispondere a un’altra domanda.
- Scrivere un finale che non è coerente con l’incipit, con lo svolgimento, con la conclusione.
Si può dire che nella forma-racconto è più tipico il finale chiuso; viceversa lo spirito del romanzo si incarna meglio nella forma aperta. Ma è una approssimazione perché possono darsi anche casi contrari. E se ne danno moltissimi.
Qual è il finale più bello che avete letto (o visto)? Cominciate a pensarci intanto io vi dico il mio. Eccolo:
“Perché tutto sia consumato, perché io sia meno solo, mi resta da augurarmi che ci siano molti spettatori il giorno della mia esecuzione e che mi accolgano con grida di odio” (Lo straniero di Albert Camus).
Esercizio:
Scrivere un racconto circolare, in cui il finale si ricollega all’incipit.
Alla prossima.
Ascolta lo sconsiglio in versione podcast
Ascolta “459 – L’explicit” su Spreaker.