Se guardate l’immagine che campeggia sopra il titolo di questo articolo, potete comprendere perché da tanti anni, noi della scuola Genius, siamo fan di Giangiacomo Tedeschi. È un autore caustico e divertente, capace di essere autoironico come pochi, ma anche profondo. In più è un autore che non si ferma di fronte a nulla quando si tratta di raccontarsi e di raccontare gli altri. Ha scritto racconti, pubblicati su vari blog (anche in questa nostra rivista, ovviamente), ha realizzato podcast, notevoli quelli della serie “Area 104”, di cui potete trovare un esempio qui, ha vinto pure qualche premio. Insomma gli mancava solo un romanzo. E adesso è uscito. S’intitola: Ce la fai? (Felici editore 2021) e narra la storia di un diciottenne in carrozzina, che è pieno di energia e – come accade soprattutto alla sua età – di ormoni scatenati che esigono che faccia sesso. Non una storia sdolcinata sull’amore tra ragazzi disabili o non disabili, con i loro risvolti soprattutto sentimentali quindi, ma un’avventura ironica alla scoperta della sessualità. Problema universale e non certo riservato solo a chi – come Giangiacomo – si sposta sulla sua carrozzina, che chiama amorevolmente Lella. Il romanzo è appena uscito e quindi è arrivato il momento per me di intercettarlo e di porgli le classiche domandine della domenica. Eccole, con le sue risposte che mantengono le promesse della sua sincerità e della sua arguzia.
Hai scritto tanti racconti molto divertenti, perché hai deciso di passare alla forma romanzo?
Non avrei mai immaginato di poter scrivere un romanzo. Su cosa poi? Cosa conoscevo così bene da poterci scrivere un romanzo? Come laureato in Ingegneria al massimo avrei potuto scrivere un romanzo sulla matematica, ma sai che palle!?
Poi una sera facendo zapping alla tv mi sono soffermato su un servizio di un famosissimo programma. Parlavano di sesso e disabilità.
Non dico che parlare di sesso debba eccitare, ma almeno intrigare. Il servizio invece era pesante, avevo costantemente l’istinto di cambiare canale. Se avevo voglia io di cambiare canale figurati un normodotato! Lì ho capito cosa conoscevo bene, ho capito di cosa potevo, anzi dovevo parlare e non bastava un racconto.
All’inizio della tua storia c’è un’affermazione che potrebbe diventare proverbiale: Basta che arrivi una schicchera e può cambiare tutto. La schicchera di Giangiacomo Tedeschi qual è stata?
Sono sempre stato una persona molto fortunata, di “schicchere” o cambi di rotta ne ho avute tante nella mia vita.
Fino a dieci anni per muovermi fuori casa usavo un passeggino, poi mia mamma sì è rotta la gamba e ho incontrato le stampelle per la prima volta.
Quando qualche anno dopo dissi a mio padre: “A scuola mi prendono in giro”. Lui che non è la persona più ironica che conosca mi rispose: “Quando lo fanno scherzaci sopra anche tu”. Mi ricordo bene che lo guardai come fosse pazzo. Ma provandoci giorno dopo giorno l’ironia e l’autoironia è diventata la mia arma.
L’ultima schicchera che mi viene in mente è stata l’incontro con la scrittura. Mi ha regalato sogni nuovi, nuovi desideri e mi ha portato a scrivere e pubblicare un libro. E pensa che quando ho iniziato a scrivere io volevo solo rimorchiare!
Come si fa a essere ironici nel raccontare un ragazzo sulla sedia a rotelle?
Siamo tutti un po’ convinti che ci siano degli argomenti sopra i quali non si possa scherzare. Io invece credo che l’ironia sia come un paio di lenti colorate.
Se le infili puoi notare per esempio la vecchia che sa che hai bisogno di aiuto che ti si lancia contro e quando tu oscilli per sostenere il contraccolpo ti fa notare: “Lo vedi che non ti reggi bene? Ti aiuto io!”.
Se sei abituato a indossare le lenti dell’ironia puoi vedere tutte le sfumature di colore e quanto la vita sia surreale e ironica.
E ancora di più, come ti è venuto in mente di “parlare di sesso e disabilità in maniera leggera, anzi facendo ridere”, come scrivi tu stesso?
La disabilità la conosco bene, l’ironia non mi manca, per il sesso c’è sempre l’inventiva. Poi per scrivere un romanzo bisogna documentarsi. Tu immagina di andare da una donna e dire: “me la devi dare! No, non guardarmi così, non sono il solito porco, devo scrivere un libro…”
Una delle scene più forti del romanzo è il tentativo del protagonista di fare sesso con una prostituta. Si tratta di un ricordo autobiografico?
Sono onesto, mi piacerebbe proprio dirti di sì, ma devo deluderti.
Mi ricordo molto bene che per andare all’università facevo strade periferiche e in una di queste stradine c’era una prostituta. Stava sempre seduta sul ciglio della strada e dal volto vissuto che aveva sembrava aver maturato tutti i contributi per andare in pensione.
Passando con l’auto più di una volta ho pensato di fermarmi. Del resto, la mia testa lo diceva: ”L’unica possibilità per te è andare a puttane”. Perché non mi sono mai fermato? Forse perché aveva sempre la faccia scazzata o forse per l’atteggiamento trasandato.
Non sono contrario alla prostituzione ma bisogna essere chiari: non è la nostra unica possibilità. Se facciamo questa esperienza è perché decidiamo di farla. Possiamo sempre scegliere.
Alcune tue descrizioni sono molto realistiche, malgrado il tono ironico: “Sollevo il busto facendo forza sulle mani puntate a terra come al solito e, come al solito, mi avvicino a Lella spostando le mani sul pavimento e trascinando il resto del corpo”, è necessario guardarsi con tanta spietata attenzione per fare lo scrittore?
Il mio obiettivo nello scrivere questo libro è stato duplice: da un lato essere ironico, ma dall’altro essere schietto. Essere schietto in quello che dico, ma anche in come lo dico, nel registro usato. Volevo dare un’idea realistica di quelle che potessero essere le vere difficoltà di una persona disabile.
Spesso mi capita di sentire gente affermare: “Io con un disabile ci starei” altri dire: ”Io con un disabile non ci starei mai, troppe complicazioni…”. La cosa divertente è che altrettanto spesso entrambe queste affermazioni vengono dette da persone che di disabilità ne hanno solo sentito parlare: “Il cugino di un amico di mio zio ha…”
Di fronte alla sessualità e al sentimento siamo tutti disarmati, perfino il personaggio che chiami il Cannibale, no?
Anche il Cannibale che terrorizza tutti ha paura di qualcosa: la Cannibala, sua moglie. O forse, in fondo siamo tutti uguali e diceva mia nonna: “Tira più una Cannibala che un carro di buoi”.
Un capitolo s’intitola: Essere normale. Cos’è per te la normalità?
Mi sono interrogato spesso su questa domanda e mi sono anche dato risposte diverse con il passare del tempo. Da ragazzino “essere normale” voleva dire essere come gli altri. Ho passato tutta la mia adolescenza a inseguire gli altri e io non sono mai stato bravo a inseguire…! Crescendo ho capito che “essere normale” è essere sé stessi. È un po’ come nella scrittura quando devi trovare la “tua voce”, forse bisogna trovare la “propria voce” anche nella vita.
C’è qualche autore che hai preso come nume tutelare nella tua scrittura?
Mi dispiace dover dire di no. Ho solo scritto il libro sulla disabilità che avrei voluto leggere.
Tu alterni scrittura e podcast audio, cosa ti piace e ti impegna di più?
Onestamente mi piace tutto. Sia la scrittura che i podcast sono strumenti che mi permettono di esprimermi e di far sentire la mia voce: sono entrambi il mio megafono. Sono tutti e due molto impegnativi. Anche se i podcast prendono certamente più tempo: dopo la fase di scrittura e revisione, c’è una parte importante di post-produzione. Però comunque sia il risultato finale dà sempre tanta soddisfazione