I quaderni di San Gersolè

Con i diari scolastici dei suoi allievi la maestra Maria Maltoni compose un’antologia di un centinaio di prose e una settantina di disegni

Sulla strada della Fiera d’ottobre, la più famosa del contado fiorentino, s’incontra la frazione di Impruneta San Gersolè, dal nome della pieve: San Pietro in Jerusalem. Un’originale maestra romagnola, Maria Maltoni, tra gli anni venti e gli anni cinquanta, raccoglie lavori e componimenti dei suoi alunni di quarta e quinta elementare. Con intelligenza, senza indulgere in mitizzazioni o trasfigurazioni dell’infanzia o esibizioni folkloristiche, attenta alle predisposizioni naturali e artistiche dei ragazzi, guida il loro estro e l’immaginazione. Il villaggio rurale, un grappolo di case con le botteghe e le piccole officine che servono i contadini, immerso nell’“ondaleggiante” e ridente campagna toscana, si regge sulle colture millenarie della vite e dell’olivo e sul lavoro nelle fornaci.

I ragazzi descrivono sé stessi e il loro vero mondo con schiettezza e immediatezza d’accenti e di tocco, da riecheggiare la più viva toscanità popolare. Fatterelli, incidenti minimi, inezie di vita quotidiana, d’un lavoro, di un gioco, di una gita a cui il ragazzo ha preso parte, vengono riportati con mordente e freschezza di toni, con “il dizionario che ti suona in bocca”: un impasto linguistico attinto alla sorgente, appena ritoccato per poter essere inteso da tutti. I genitori vogliono condurre un ragazzo alla fiera dell’Impruneta, con certe scarpe che gli fanno male e il ragazzo, rifiutando di andare, registra sul quaderno la sua ribellione. E si diverte con i compagni ad accendere con la lente il fuoco su un filo d’erba.

Con questi diari scolastici Maria Maltoni compone un’antologia. Il volume viene stampato dalla casa Editrice Fiorentina “Il Libro”, poco più di un centinaio di prose e una settantina di deliziosi disegni a colori che danno quasi al libro un’aria di codice antico. La Nunziatina, la Guerrenda, Sergio, Mario scrivono i loro caratteri tondi, dritti, esatti che si leggono come già stampati, con la precisione di amanuensi. I ragazzi non conoscono la prospettiva e i disegni possono essere accostati a pitture primitive. Raffigurano le rondini stilizzate, le figure umane sono caricature e allegorie. La primavera si annuncia spargendo dall’alto i fiori gialli che a San Gersolè chiamano i “piè di gallo” oppure è rappresentata da una contadina che a braccia aperte sparge il becchime ai polli. Ma tutti i disegni esprimono l’equilibrio di una ruralità che segue i cicli della natura anche nella fatica dei campi, in una campagna regolata dalla mezzadria. Si evincono i vari tipi di rapporto economico e sociale, ci sono i poveri e i padroni, quelli che hanno fatto fortuna con la guerra, e quelli che invece in inverno sono dovuti andare a tagliare le lamiere delle navi tedesche affondate. I ragazzi di febbraio intonano canti agitando fasci di paglia propiziatori al grano, in un inno alla bella stagione e alla scuola all’aperto.

Nel 1959 Einaudi pubblica i quaderni di San Gersolè con la prefazione illustre di Italo Calvino.

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