In una delle lettere ad Andrea Dandolo, Francesco Petrarca ricorda come filosofi e poeti, condottieri e santi siano stati grandi viaggiatori. Egli stesso si definisce “pellegrino viandante su questa terra” rivelando come il viaggio diventi simbolo della condizione umana nel passaggio terreno. Assiduo viaggiatore lo è davvero anche nel concreto, spinto da un profondo bisogno di evasione dall’inguaribile malinconia, mosso da esigenze di studio, da necessità familiari o legate ai suoi numerosi incarichi pubblici. Percorre le strade d’Italia e d’Europa sopportando fatiche e affrontando disagi, pericoli, agguati di briganti, naufragi, e ci tramanda il ricordo delle vicende più singolari. Nel 1343 in una lettera indirizzata a Giovanni Colonna descrive la tempesta cui gli accade di assistere a Napoli: “Oh il diluvio, oh i venti, oh le saette! Oh fragore di cielo, commovimento di terra, oh mugghio del mare! Oh ululato degli uomini!… Quale orrendo spettacolo! Nel mezzo stesso del porto spaventoso e lagrimevole naufragio… Alti monti di flutti scorrevano tra Napoli e Capri…”.
È in missione diplomatica nel suo secondo viaggio a Napoli che ha raggiunto per la via di terra, inviato dal Papa Clemente VI e dal Cardinale Colonna. I suoi carissimi amici Giovanni Barrili e Marco Barbato lo accompagnano a visitare Baia di cui ammira la spiaggia “deliziosissima” anche in pieno inverno e le terme grandiose. Pozzuoli colpisce la sua immaginazione per gli interessanti fenomeni delle solfatare e perché vi conosce una donna guerriera, Maria, degna di essere paragonata alla virgiliana Camilla. Visita i luoghi descritti da Virgilio e prima di lui da Omero: il monte Falerno famoso per i suoi vigneti, l’antro pauroso della Sibilla, i laghi di Averno e Lucrino e le acque ferme del lago di Fusaro, un tempo identificato con la palude Acherontica. Il Petrarca umanista si entusiasma a tal punto che proclama quel giorno il più lieto della sua vita.
Durante il soggiorno napoletano si scatena nel golfo una tremenda tempesta. Petrarca è ospite nel convento dei Frati Minori posto in posizione elevata sulla città. Destato di notte dal fragore dei tuoni, dal balenare dei lampi e dalla pioggia battente, si rifugia con i frati nella cappella del convento e passa le ore steso in terra a pregare, finché alle prime luci dell’alba corre con il popolo a vedere sulla riva del porto lo scempio delle navi che hanno fatto naufragio. Ne riceve un’impressione indimenticabile di orrore e di pietà, di forza oscura e primitiva, rievocata con tale intensità e ampiezza da far pensare a risonanze di paesaggi romantici.