Berlino, 20 marzo 1930
Marta mia,
Ti mando in questo momento, sono le 10 e 1/2 del mattino, un telegramma con risposta pagata, per avere prima di questa notte Tue notizie. Questa notte sono stato agitatissimo, ho fatto un orribile sogno. E ho bisogno di tranquillarmi! Non puoi immaginarti in quanta preoccupazione io viva. Le cose più folli mi passano per la testa e non trovo un momento di requie… Pensa a me, pensa a me, Marta: io sono qua unicamente per Te; non veder chiusa entro limiti angusti la Tua vita; il Tuo destino è grande; Tu sei un’Eletta; non puoi circoscrivere in un ambito mediocre la Tua esistenza.
È tornato in iscena Philipps. Sai, quello che mi fece concludere l’affare con Eichberg? È venuto a parlarmi ieri per conto della Metro-Golwin-Mayer, che mi scrisse a Milano la lunga lettera che Tu mi rimandasti. Pare che questa Casa americana, in società con la Paramount di Parigi, abbia in progetto una ventina di films europei, che saranno fatti appunto a Parigi, di soggetti francesi, italiani, e spagnuoli, commissionati perciò scrittori francesi, italiani e spagnuoli, ed eseguiti da attrici ed attori francesi, italiani e spagnuoli.
Come scrittore italiano hanno scelto me; ieri stesso ho fatto spedire a Philips un telegramma perché come attrice italiana sia scelta Tu. So che uno della società forse deve capitare a Napoli, perché c’è già un film di soggetto napoletano in lavorazione sotto la direzione di Gallone, “La città che canta”. Non è improbabile, dunque, che qualcuno venga trovarti al teatro Fiorentini per parlarti della cosa.
Philipps dice che è quasi certo che questa volta un affare si combinerà. In questo caso, si andrebbe a Parigi. E, una volta là, tutto l’orizzonte si allargherebbe. Tu hai bisogno di questo largo respiro, Marta mia: non puoi e non devi affogare nell’affliggente mediocrità dei palcoscenici italiani. La Tua personalità e già affermata dappertutto; tu sei Marta Abba, non puoi più ricevere ombra da nessuno. E nessuno ti può detrarre quanto ti spetta di fama, per ciò che sei e per ciò che fai. È inconfondibile, perché personale: di Marta Abba. Non c’entra più né Pirandello né nessun altro. Tu vivi per te, nel regno dell’arte, di vita Tua. Non hai bisogno della mia arte per vivere. Al contrario! La mia arte, per vivere, ha bisogno di Te. Nessuno al mondo saprà farla vivere meglio di Te. Questo è stato detto, ed è della verità. Tu sei tu e di noi due chi ha più bisogno dell’altro, sono io e non sei Tu. E quello che io faccio per Te è il meno che io possa fare.
Ti devo tutto, Marta mia; se Ti ho fatto soffrire, credi che il mio pentimento è senza fine, e che è tutta la colpa di questa mia cattiva gioventù che non vuole passare. Qua pare che le cose si mettano molto bene. L’interesse per le cose mie cresce sempre di più. Bisogna far grandi denari. Lavorare, lavorare… “I giganti della montagna”, e poi un’altra diavoleria che già mi balena… Una donna rossa, di sogno… la felicità… con un poeta, pupazzo di pezza, che ha una moglie pazza… che lo affoga in un pozzo. Staremo a vedere! La mia fantasia non è mai stata tanto fertile… Ma l’anima mia è in un’ansia terribile… Come in preda a un vento che non so dove mi debba portare… Al porto della felicità? Ma quella moglie pazza… Forse la mia morte vicina.
Basta, Marta. Farnetico… Perdonami! È per tutto il bene che ti vuole
Il tuo maestro.
Bibliografia
Luigi Pirandello, Come tu mi vuoi, Mondadori;
Luigi Pirandello, Lettere a Marta Abba, Mondadori.