“È proprio lui, non c’è dubbio!”
Primo Levi fissò la lettera che aveva appena ricevuto da un’azienda tedesca che forniva vernici alla Siva di Settimo Torinese, dove lui lavorava in qualità di Direttore tecnico.
Qualche settimana prima aveva contattato i fornitori tedeschi per una vernice difettosa e ora era arrivata la risposta, firmata da un certo ‘Doktor Müller’.
Primo Levi non riusciva a staccare gli occhi da quella firma.
Nel laboratorio chimico di Auschwitz c’era un Doktor Müller che diceva «beta-Naptylamin» anziché «beta-Naphtylamin», omettendo la h. Nella lettera ricevuta, questo Müller scriveva Naftenat anzichè ‘Naphthenat’: lo stesso errore, lo stesso lapsus, lo stesso cognome.
La mano che reggeva il foglio cominciò a tremare: in un attimo Primo Levi rivide ‘il non dimenticato laboratorio pieno di gelo, di speranza e di spavento’ dove era stato impiegato come chimico al suo arrivo nel campo.
Il Doktor Müller non era un nazista, ma aveva accettato di collaborare a un progetto del Terzo Reich.
Levi ricordava di aver parlato con lui da chimico a chimico; una volta aveva ricevuto il permesso di radersi, un’altra volta Müller gli aveva regalato un paio di scarpe di cuoio. ‘Der Mann hat keine Ahnung’, ‘costui non si rende conto’, aveva pensato il giovane deportato italiano, che all’epoca pensava, sognava persino, in tedesco.
“Adesso gli scrivo e gli dico chi sono”, disse Primo Levi a mezza voce. Non voleva vendetta, non era mica il Conte di Montecristo, sentiva solo il bisogno di ‘ristabilire le misure’.
Gli avrebbe inviato una copia di Se questo è un uomo, tradotta in tedesco, naturalmente.
Bibliografia:
Primo Levi, Il sistema periodico, Einaudi;
Primo Levi, I sommersi e i salvati, Einaudi.