“Signor Montale, in questi giorni si parla molto di una polemica tra lei e Adriano Celentano… com’è andata veramente?”.
Montale aveva bevuto il suo caffè a piccoli sorsi, mentre osservava al di sopra della tazzina la giornalista curiosa ed elegante venuta a intervistarlo. Tutto era nato dal suo ultimo elzeviro apparso sul Corriere.
Nell’elencare i personaggi famosi che figuravano in una collana di Longanesi, il poeta aveva citato “il sedicente cantante Adriano Celentano”.
Dopo un paio di giorni aveva squillato il telefono.
“Sono Celentano e voglio parlare con Montale”, aveva gracchiato una voce arrogante dalla cornetta.
Il poeta, che era andato a rispondere, senza quasi pensarci si era calato nelle vesti di un maggiordomo inesistente e aveva risposto imperturbabile:
“È partito, cosa voleva?”
“Gli dica che sono arrabbiatissimo, che gli farò querela”, aveva risposto la voce, ancor più concitata.
Montale aveva chiuso il breve scambio di battute con un pacato “Va bene, riferirò”, poi aveva messo giù il ricevitore.
“Le spiego subito, signora: ma chi dice che il termine “sedicente” è un insulto? Io mi limito a costatare un fatto: che lui dice di essere un cantante. Non è un’offesa, non è un giudizio morale: che poi questa sua qualità io l’affermi o la neghi, spetta alla malignità della gente stabilirlo”.
Il poeta aveva poggiato la tazzina vuota sul vassoio, poi aveva guardato la giornalista e, in tono quasi rassegnato, aveva aggiunto:
“A scuola dovrebbero esserci due sole materie obbligatorie, la lingua italiana e la buona educazione”.
Bibliografia:
Eugenio Montale, Diario del ‘71 e del ‘72, Mondadori;
Eugenio Montale, Nel nostro tempo, Rizzoli.