Il tutto nasce quasi per gioco negli ultimi giorni di liceo prima dell’esame di maturità. Milo e Nadia si scrivono messaggi sul banco che occupano in turni differenti, l’uno al mattino, l’altra al pomeriggio, senza incontrarsi mai. La scrittura, che di giorno in giorno si fa sempre più articolata e confidenziale, li avvicina finché scocca l’amore, un amore talmente forte che dieci anni dopo, quando il destino li farà finalmente incontrare, decideranno di sposarsi. Ma col passare del tempo la routine della convivenza, i compromessi, le rinunce, i fallimenti, i disperati tentativi che Milo mette in atto per adattare i propri ritmi a quelli della moglie fino alle soglie dell’autoannullamento spegneranno quel fuoco. Lei sarà sempre più distaccata, fredda, indifferente, sempre più assorbita dal proprio lavoro di scrittrice, dalla grande opera che tra mille tormenti sta cercando di realizzare. Lui però non si rassegna. Dopo quindici anni di matrimonio è ancora perdutamente innamorato e vorrebbe resuscitare quella ragazza vitale, spontanea, fantasiosa e imprevedibile che aveva conosciuto un tempo. Gli viene un’idea: decide di ricorrere ancora una volta alla scrittura, come quand’erano al liceo, usando però uno stratagemma. Finge di essere uno sconosciuto che per errore manda a lei una mail destinata alla moglie, dalla quale è stato abbandonato. Nadia gli risponde e tra i due inizia un carteggio, che si fa sempre più fitto e profondo fino a raggiungere quella dimensione confidenziale che la routine matrimoniale aveva fatto perdere. Milo è entusiasta del successo che sembra avere la propria idea e pregusta la gioia di poter riconquistare la moglie, di poter dare nuove basi al loro rapporto grazie a quel’ “Invenzione di noi due” da cui prende titolo il libro. Le cose, però, non sono così semplici e la ritrovata intimità si rivela un’arma a doppio taglio. Se da un lato colpisce la noia e l’indifferenza, che negli anni si sono depositate come polvere sulle dinamiche profonde del loro matrimonio, dall’altro fa emergere contraddizioni, mancanze, gelosie, proprio per effetto dell’espediente che lui ha usato per smuovere quell’indifferenza, un espediente diabolico che lo costringe a un confronto drammatico con sé stesso, o meglio con l’alter ego da lui stesso creato.
Quelle che nel libro vengono scandagliate con acume e disincanto sono le dinamiche del rapporto di coppia, dinamiche che sembrano essere regolate da leggi inesorabili, refrattarie agli sforzi sinceri e appassionati di chi ne è protagonista (“si cambia a prescindere da noi e dalle nostre decisioni”), sforzi che spesso sono tardivi (“… torniamo a occuparci delle cose quasi sempre quando sono finite. Forse la fine è l’unica condizione in grado di smuoverci davvero”). L’idea di Milo per risvegliare l’amore della moglie è un rimedio estremo generato dall’imminenza della catastrofe. Vestendo i panni di Antonio (lo sconosciuto che scrive a Nadia) lui può essere finalmente sé stesso, può esprimere i propri timori, i propri scrupoli, le proprie nostalgie. Anche lei può aprirsi e confidargli le ragioni del proprio disincanto, dandogli così indicazioni involontarie su come rimediare alle sue mancanze vere o presunte.
Il libro è scritto con un linguaggio teso, appassionato ed è ricco di riflessioni sull’amore e sul rapporto a due: “… se un amore ha bisogno di un arbitro, allora è un amore già spacciato” dice Milo a proposito della terapia di coppia; “… la difficoltà che sentivo” dice sempre Milio, “non dipendeva dalla sua indifferenza allo sguardo altrui. Mi feriva il disinteresse al mio… Mi seccava che la mia opinione fosse diventata irrilevante…”)
Altro tema è quello dell’ambizione personale. “… se il sogno di scrivere, di pubblicare,” dice Milo, “diventa un incubo bavoso che fagocita il resto, comprese la voglia e il divertimento del raccontare, se ci rende persone che trascurano le storie reali per investire su quelle immaginarie, allora l’ambizione può trasformarsi in illusione.” Nadia, ossessionata dal desiderio di “lasciare una traccia”, vive la propria ambizione letteraria in modo esclusivo, totalizzante e non si capisce se questa sia la causa o la conseguenza del suo allontanamento da Milo. Anche Milo deve fare i conti con la propria ambizione, quella di diventare architetto, alla quale rinuncia pochi anni dopo la laurea per fare il cuoco nell’osteria di un amico. Una scelta questa che sostiene di aver fatto per amore di lei, per starle vicino e sostenerla nella realizzazione dei suoi sogni letterari, e che invece lei attribuisce alla incapacità di lui ad affrontare le lotte e i sacrifici di una carriera professionale. “Aveva solo bisogno di una scusa per abdicare al proprio sogno,” dice Nadia in una delle sue mail ad Antonio. Poi cita Truman Capote: “Un uomo che non sogna è come un uomo che non suda: accumula in sé riserve di veleno.”
Un altro tema del libro è quello della finzione, del mascheramento di sé, che nel rapporto di coppia si mette in atto più o meno consapevolmente per compiacere l’altro. “Il problema,” scrive Nadia ad Antonio, “non è tanto quando scopriamo in chi amiamo cose che non sapevamo, ma quando ci ostiniamo a celare noi stessi, convinti che offrire il nostro meglio significhi lucidare la promessa della superficie a discapito del resto.”
Ma finzione è anche l’artificio che Milo mette in atto per riportare il suo rapporto con Nadia su un piano di verità, realizzando un paradosso che forse non è solo apparente. Ed è proprio su questo paradosso che dovrà alla fine misurarsi nel suo tentativo di “tramutare la cenere di nuovo in amore” dopo aver “tramutato l’amore in cenere.”