Al terzo doppio whiskey Dorothy realizzò che Deems non sarebbe venuto alla festa. Per un momento sentì salirle le lacrime agli occhi ma Jenny White la stava fissando e allora buttò giù l’ultimo sorso e le si avvicinò con un sorriso di circostanza. Ma che bei fiori!, esclamò, fissando con ostentazione l’improbabile impalcatura di velluto rosa issato sui capelli di un biondo innaturale della signora White. Rose? – No, tulipani, puntualizzò un po’ seccata la finta bionda. Come sta Deems?, rilanciò questa con un sorrisetto di scherno. Maledizione, lo sa anche lei, pensò Dorothy. Benissimo, rispose, assumendo un tono frivolo e fintamente allegro, sta lavorando con Walt Disney, per la felicità dei marmocchi americani!
Salutamelo tanto… quando lo vedi!, disse la bionda voltandole le spalle per salutare una giornalista grassa, quasi strozzata da tre fili di perle.
Certo, come no?, sussurrò Dorothy. Aveva assolutamente bisogno di whiskey, o gin, o qualsiasi altra cosa, anche se cominciava a non sentirsi troppo bene. Ancora un drink, e finirò sotto l’ospite, pensò, anche se non ricordava più chi fosse il padrone di casa. In un angolo, vicino al pianoforte, vide un tizio che l’aveva intervistata un mese prima, uno di quelli fissati con la psicoanalisi e che le aveva chiesto con insistenza particolari sulla sua infanzia. Se io scrivessi della mia non ti vorresti sedere nella stessa stanza con me, darling, le aveva risposto lei, ridendogli in faccia. Lui se n’era andato offeso, e l’intervista non era più uscita. Poco male, pensò Dorothy, troppe domande, e neanche una che meritasse una risposta. Un movimento di gente in fondo alla sala attirò la sua attenzione: Katharine Hepburn faceva il suo ingresso, distribuendo sorrisi a destra e a manca.
Che attrice meravigliosa, non trova? sospirò un’anziana signora vestita di giallo e verde. La Hepburn? Grande davvero, è capace di recitare tutta la gamma di emozioni dalla A alla B!, rispose Dorothy, del tutto incurante della costernazione apparsa sul volto della signora colorata come un pappagallo.
Per stasera ne ho abbastanza, pensò, mentre prendeva al volo da un vassoio l’ultimo gin tonic. Si avviò barcollando verso l’uscita, le note del pianoforte le arrivavano a ondate, tra il vociare, le risate e il tintinnio del ghiaccio nei bicchieri.
Un party da schifo, pensò, senza neanche un amico, senza Deems… le era piaciuto solo il pianista, un ragazzo nero e magro che suonava bene, e che sarebbe stato volentieri altrove, lei l’aveva capito.
Si fermò sulla porta e lo guardò, lui alzò gli occhi e le accennò un leggero inchino con la testa, l’ombra di un sorriso sulla faccia. Sta come me, pensò Dorothy, mentre il vento freddo della notte le sferzava il viso.
Il taxi arrivò subito, lei si sedette con un sospiro di sollievo: finalmente adesso avrebbe potuto piangere.
Bibliografia: Dorothy Parker, Dal diario di una signora di New York, edizioni Astoria.