Passatisti e Futuristi

Marinetti si rivolge al pubblico. “Vi comportate come l’armata turca. Esaurite le munizioni prima del combattimento”. Ma si convince subito d’essersi ingannato.

15 Dicembre 1913, al Caffè delle Giubbe Rosse in Firenze, così chiamato per le uniformi dei camerieri, si prepara una rivoluzione, un gruppo di audaci è in fermento, vuol dar battaglia ai passatisti riuniti al Teatro Verdi: Marinetti è a capo degli insorti, fra i quali figurano Papini, l’antifilosofo, così si definiva allora, il pittore Carrà che si firma con molte erre per dispetto, Boccioni pittore e scultore, Palazzeschi e Soffici. Il caffè è affollato di amici che discutono animatamente, fumano bevono e cenano in attesa dello spettacolo. A un altro tavolo Amalia Guglielminetti si gode un gustoso piatto di spaghetti alla napoletana, appetitosissimi, con la Marchesa Lotteringhi Della Stufa. Il caffè d’un tratto si svuota, tutti seguono il manipolo di ribelli che passano per l’ingresso riservato agli artisti, attraversano un corridoio. Il sipario del palcoscenico è ancora calato, sbirciano da qualche spiraglio. S’alza un infernale vociare, la platea è zeppa di passatisti. Amalia Guglielminetti si caccia in un palco di proscenio. È il momento di farsi avanti, i rappresentanti futuristi, sostenuti da qualche amico, si dispongono in fila indiana sul palco e seguono il programma, dai discorsi alle poesie. Li accolgono urla, fischi e lanci di patate che iniziano a piovere sul palco. Marinetti si rivolge al pubblico. “Vi comportate come l’armata turca. Esaurite le munizioni prima del combattimento”. Ma si convince subito d’essersi ingannato. Gli arriva una patata in piena faccia. Sulla testa di Palazzeschi si riversa una matassa di spaghetti, Papini è sotto i tiri incrociati di mele e castagne che per miracolo non gli cacciano le lenti dentro gli occhi, a Boccioni arriva un cavolo in pieno petto. Le patate rimbalzano sulla fronte levigata di Soffici, che non si scompone, impassibile legge il suo discorso. Si vedono fluttuare nell’aria le patate bollite che si abbattono flaccide in testa e sugli abiti, mentre le uova marce li imbrattano con i loro schizzi pestilenziali. Umberto Boccioni chiede sconvolto da quello sconcio: “Ma andranno via le macchie?” Non fa a tempo a sentire la risposta che qualcuno viene colpito al volto da una lampadina elettrica che graffia un naso con il suo ago, qualche goccia rossa macchia un fazzoletto. “Il battesimo del sangue” si sente dire dal proscenio.

“Souvenir de la fête” risponde elegantemente un giornalista francese che raccoglie la lampadina per portarla, promette, a Parigi. A corto di proiettili il nemico svita lampadine, se ne vede una passare a pochi centimetri dalla pelata di Marinetti. All’improvviso un’altra patata lo va a colpire all’occhio, lascia livida la palpebra, Marinetti impallidisce ma non si sposta di un millimetro. In platea sono presenti, oltre ad Amalia Guglielminetti, Pietro Mascagni, Matilde Serao, Giuseppe Prezzolini, l’editore Vallecchi, non si sa se per divertirsi o per dar sostegno all’una o all’altra corrente. Il programma è tutto svolto, non s’è saltato alcun discorso, ma in quella bolgia neppure mezza parola è stata ascoltata. I futuristi, in fila indiana, come sono entrati, abbandonano il palcoscenico. Il giorno dopo a Firenze non si fa che parlare della battaglia fra futuristi e passatisti. Non si è mai saputo che fine abbia fatto quella lampadina. A Parigi.

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