Intervista a Joseph Conrad

Parla un inglese stentato con un fortissimo accento straniero, tanto da risultare a volte incomprensibile, ma nutre per l’Inghilterra un amore romantico.

Parla un inglese stentato con un fortissimo accento straniero, tanto da risultare a volte incomprensibile, ma nutre per l’Inghilterra un amore romantico. Negli scritti usa una lingua colta e raffinatissima, aristocratica, così come lo è lui, Joseph Conrad, di nobile stirpe polacca, gentiluomo “fino alla punta delle dita”.

Se volessi conoscerlo di persona, partirei per la verdissima contea di Kent per raggiungere la sua casa, presso Ashford, ma temo disdegnerebbe rispondere a un’intervistatrice donna. Se accettasse di vedermi, rimarrei comunque in uno stato di inquieta e preoccupata attesa. Sono certa mi impressionerebbe con la sua visione cruda della vita umana e degli umani destini, soggetti ai conflitti delle passioni di fronte all’indifferenza della natura e alle perfidie e ostilità degli uomini. Non gli chiederei cosa ne pensa del film Apocalypse Now, liberamente tratto dal suo Cuore di Tenebra, e della magistrale reinterpretazione di Kurtz, infatuato di dottrine devianti, impazzito nell’orrore della foresta tropicale in mezzo ai nativi. Vorrei sentirgli ricordare il desiderio di avventure, di mari tropicali e di fiumi costeggiati da rigogliose e oscure foreste, che l’ha portato alla decisione di entrare nella marina mercantile inglese in netto contrasto con la famiglia ansiosa di vederlo arruolato nella marina austriaca.

Mi sentirei in profondo disaccordo con lui sull’esigenza di adottare sempre una ferrea disciplina, e di sottostare a quella imposta per non cadere negli abissi infuocati delle passioni, anzi, mi sentirei per la verità un po’ sotto esame per la mia natura istintiva. E deprecherei la sua propensione ai totalitarismi, e il radicato odio per la Russia, così spinto da non attribuire alcun valore a Tolstoj e a Dostoevskij. Turgenev è l’unico romanziere russo per cui dimostrerebbe ammirazione.

Accennerei alla Cina, e gli chiederei di regalarmi qualche ricordo della sua esperienza nel paese che più mi affascina ma del quale poco conosco. Ricorderebbe che tentarono di ucciderlo in una casa privata a Chantabun e menzionerebbe il furto subito da parte di uno strano ladro che dopo averlo ripulito di tutto il denaro spazzolò e ripiegò accuratamente i suoi abiti, in segno di rispetto. Poi mi confiderebbe il timore per l’avvento dell’eresia socialista e le conseguenti sue previsioni sulla Cina, assai tetre.

Vedendolo assorto nella conversazione, non lo interromperei neppure quando il suo pessimismo dilagherebbe, sulla spinta delle paure per la solitudine e per l’ignoto che sembrano occupare la sua immaginazione.

“Non sono mai riuscito a trovare in nessun libro o in nessun discorso del mio prossimo qualcosa che fosse abbastanza convincente da poterlo contrapporre anche per un solo istante al mio radicato senso della fatalità che governa questo mondo abitato dall’uomo”.

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