La barca di Goldoni

Il padre di Carlo Goldoni lo ha destinato alla medicina. Nonostante la madre si lamenti per la scelta del padre. Ma mica puoi separare così un figlio da una madre, non è vero?

Dopo un periodo trascorso dai Gesuiti a Perugia per completare gli studi di retorica, Carlo Goldoni viene mandato a Rimini dai Domenicani per l’ottima reputazione che godono nell’insegnamento della logica e della filosofia, ritenute propedeutiche alle scienze: il padre l’ha infatti destinato alla medicina. Nonostante la madre si lamenti per la scelta del padre – mal tollera la lontananza del figlio – Carlo viene lasciato a Rimini, dove alloggia da un banchiere, amico di famiglia; è affidato alle cure di Padre Candini, affabile e dotto, ma incapace di scostarsi dalle ostiche regole della dottrina filosofica scolastica e Tomista.

Le sue digressioni, i suoi giri scolastici mi parevano inutili, e i suoi barbara e i suoi baralipton mi sembravano ridicoli”. Carlo durante le lezioni noiose e inutilmente prolisse scrive diligentemente sotto dettatura, ma quando deve studiare rigetta quella materia che trova assurda e complicata: “non fanno altro che allontanare dalla filosofia del buon senso”, e si riaccosta alle opere di Terenzio, Plauto e Aristofane, autori apprezzati fin dall’infanzia che gli insegnano, per sua confessione, una filosofia più utile e dilettevole. Sente il bisogno di alleviare la noia che lo opprime e per distrarsi la sera inizia ad andare a teatro. Dalla platea per la prima volta vede attrici donne sul palcoscenico “e trovai che ciò abbelliva la scena in una maniera più seducente… davo furtive occhiate a quelle signorine, ed esse mi fissavano arditamente”.

Stringe amicizia con gli attori, i comici, che lo colmano di gentilezze e fan festa al bel ragazzo brillante e vivace, che non manca d’esprimere giudizi arguti sulle commedie rappresentate e sul mondo che le circonda. Simpatica è Clarice, la prima attrice, bruttina ma spiritosa, divertentissimo è ser Florindo, ghiotto di maccheroni, dentro e fuori scena. Sono suoi concittadini e lui adora la loro parlata nel caro dialetto: il Veneziano.

Gli attori devono però partire. Terminate le recite pattuite, sono attesi in altre località che raggiungeranno con una barca noleggiata dal sovrintendente della compagnia. Carlo, rattristato, viene a sapere dal capo-comico che hanno in programma alcune rappresentazioni di passaggio a Chioggia, prima di raggiungere Venezia.

“Ah mio Dio! mia madre è a Chioggia, e io la vedrei con molto piacere”.

“Venite con noi”.

“Sì sì (tutti gridarono un dopo l’altro) con noi, con noi, nella nostra barca; ci starete bene, non spenderete nulla; si gioca, si canta, si ride, ci divertiamo”.

Il giorno fissato per la partenza, infila in una tasca due camicie e un berretto, va al porto, individua la barca, sale per primo, si nasconde sotto la prua. Ha con sé il calamaio da tasca e scrive una lettera di scuse al banchiere che lo ospita. Dopo poco giungono gli attori che s’accomodano nella “barca spaziosissima”: dodici in tutto fra attori e attrici, a cui si aggiungono il suggeritore, il macchinista, il guardaroba, otto servitori, quattro cameriere, due nutrici, ragazzi d’ogni età, valigie e casse, cani, gatti, scimmie, pappagalli, uccelli, piccioni e un agnello. “Pareva l’arca di Noè”.

Dov’è il signor Goldoni?” Eccolo che appare da sotto coperta e tutti scoppiano a ridere.

Arrivano al porto di Chioggia, dopo quattro giorni di navigazione, trascorsi in gran baldoria.

Non avevo l’indirizzo dell’abitazione di mia madre, ma non stetti molto tempo in cerca. Madama Goldoni e sua sorella portavano la cresta, erano nella classe dei ricchi e ognuno le conosceva”.

Chiede al capo-comico di accompagnarlo, lui accondiscende e s’avviano insieme. Carlo resta in anticamera e ascolta la conversazione che avviene in salotto.

“Signora” egli disse a mia madre “vengo da Rimini, e ho nuove da darvi del vostro signor figlio”.

“Come sta mio figlio?”

“Benissimo”.

“È contento del suo stato?”

“Signora, non troppo: soffre molto”.

“Perché?”

“Per essere lontano dalla sua tenera madre”.

“Povero ragazzo, vorrei averlo presso di me”.

(Ascoltavo tutto, e mi batteva il cuore).

“Signora” continuò il comico “gli avevo esibito di condurlo meco”. –

“Perché non l’avete fatto?”

“Lo avreste voi approvato?”

“Senza dubbio”.

“Ma i suoi studi?”

“I suoi studi? Non ci poteva ritornare? E poi vi son maestri dappertutto”. “Lo vedreste voi dunque con piacere?”

“Col più gran giubilo”.

“Signora, eccolo”.

Carlo apre la porta, entra e si getta ai piedi di sua madre che lo abbraccia. L’ha fatta grossa ma saprà farsi perdonare.

__________

Le frasi in corsivo sono tratte da Les Mémoires di Carlo Goldoni, scritte a Parigi tra il 1784 e il 1787.

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