La laurea di Fenoglio

Fenoglio rivela nella sua ruvidezza il rimpianto mai rimosso per non aver conseguito la laurea

“Circa i dati biografici è dettaglio che posso sbrigare in un baleno. Nato trent’anni fa a Alba (I marzo 1922) studente (Ginnasio-Liceo, indi Università, ma naturalmente non mi sono laureato), soldato nel Regio e poi partigiano; oggi purtroppo uno dei procuratori di una nota ditta enologica. Credo che sia tutto qui”. 

Così Beppe Fenoglio nella lettera di presentazione inviata a Italo Calvino  registra con l’essenzialità di una spoglia e secca cronaca i termini di un’esistenza avara; “outsider di provincia”, legato alla sua Langa, segnato dalla condizione di reduce di guerra e dal difficile reinserimento nella società civile che coinvolge tutta una generazione, rivela nella sua ruvidezza il rimpianto mai rimosso per non aver conseguito la laurea, unito alla coscienza sofferta per la soggezione che questo gli costa nei rapporti con il mondo editoriale. Il senso della propria differenza di “scrittore irregolare” o di “gentleman writer” è mantenuto con orgoglio e incistato nella predilezione per la lingua inglese e l’universo che racchiude, più amabile e incantatore della realtà che gli sta attorno; si immerge fin dalla prima liceo nel costume, nella letteratura dell’epoca elisabettiana e nella lingua “magica”, coi suoi valori e peculiarità di senso che sceglie per elezione nella ricerca di una maggiore libertà espressiva. La madre ricorda che il libro prediletto è un “piccolissimo tomo, un’edizione tascabile di Shakespeare”.

Dopo la chiamata alle armi e la drammatica esperienza della guerra civile nelle formazioni partigiane, soffre il disagio del ritorno alla vita di sempre. Si apparta a scrivere, pagine su pagine, con l’immancabile sigaretta, distaccato dal resto, interamente assorbito dalla scrittura come vocazione totalizzante. I diverbi con la madre che gli rimprovera di non voler terminare gli studi, di perdere il tempo a scrivere e il vizio incallito del fumo, esacerbati dalle difficoltà economiche fino allo scontro aperto, diventano vere e proprie battaglie familiari; la sorella Marisa a proposito dei litigi in una lettera scrive: “i soldi e il fumo ne erano lo spunto, ma erano scontri esistenziali, violentissimi tra due che parlavano lingue diverse”, e del padre: “si affrettava a chiudere porte e finestre per via dei vicini”. 

Messo duramente a confronto con la scelta del fratello che invece mira alla laurea, all’ennesimo rimprovero della madre Beppe Fenoglio risponde: “La mia laurea me la porteranno a casa, sarà il mio primo volume pubblicato”.

Viene assunto in un’azienda vinicola di Alba come corrispondente con l’estero. L’impiego gli consente di contribuire ai bisogni della famiglia – lascia infatti l’intero stipendio alla madre che gli passa di volta in volta i soldi per le piccole spese, il fumo e poco altro, – e gli concede il tempo per dedicarsi alla scrittura.

“Scrivo per un’infinità di motivi. Per vocazione, … anche per giustificare i miei sedici anni di studi non coronati da laurea, anche per spirito agonistico, anche per restituirmi sensazioni passate; per un’infinità di ragioni, insomma. Non certo per divertimento. Ci faccio una fatica nera. La più facile delle mie pagine esce spensierata da una decina di penosi rifacimenti. Scrivo with a deep distrust and a deeper faith”. 

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