Un sogno. Un lamento. Una poesia. Granelli d’oro ti carezzano le mani. Chiudi gli occhi e immagini la vita fuori da lì. Niente più cartellino, niente più metal detector, nessun collega a cui sorridere. Solo tu e Maya sulle spiagge di una destinazione esotica. Mano nella mano, con i piedi carezzati dalla polvere che calpestate. Camminate sempre più svelti verso un futuro che potrebbe durare poco. Ma ti accontenteresti, per il gusto di essere di nuovo presente. Apri gli occhi, il posto dove lavori lo chiamano isola. I contatti con l’esterno sono ridotti al minimo e tutto quello che tocchi è catalogato. Sei l’orafo di una catena di montaggio. Potresti starnutire sui diamanti che ti ritrovi di fonte. Più piccoli delle perline, più preziosi dei tuoi organi interni. Sei innamorato e continui a confezionare anelli, collier, bracciali che non finiranno sulla pelle della tua Maya. Potresti starnutire ma ti controlli, sei stato addestrato per dominare gioielli. Duecentonovanta diamanti arancioni a tratteggiare i lineamenti di un rapace maestoso. Quando ogni pietra sarà incastonata, quando l’oro avrà un’anima. Un pezzo unico su cui l’azienda punta in modo maniacale. Tua moglie è molto orgogliosa d’essere la signora d’un orafo. Ti dice che la fa sentire preziosa. Eppure per te non brilla. Non sono lucenti più neanche i tuoi figli. Tre stronzi che sei stato costretto a viziare. Se portassi via la collana a cui stai lavorando tu e Maya potreste volare via. Potresti rimuovere con calma tutte le pietre e venderle a chi sa apprezzare. Quanto tempo ci metterebbero a capire che hai sostituito il prototipo con l’originale?
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