Già dall’inizio del ’42 la Gestapo setaccia i quartieri abitati da ebrei, e Carla vede ogni giorno i segni dello sterminio che avanza: l’arpa di Rosa Spier che giace abbandonata sul palco del Concertgebouw dove hanno licenziato tutti i musicisti ebrei, il bambino che chiede alla nonna perché non possono più sedersi sotto l’ombrellone colorato del Caffè.
Carla si aggrappa a qualcosa che le faccia alzare lo sguardo dall’orrore quotidiano, che sia il ramo di una mimosa in fiore o una sonata di Bach.
Etty Hillesum, una delle sue amiche più care, un giorno le ha detto con rabbia: “Mai dimenticare quello che ci hanno fatto, mai perdonare”, ma Carla non riesce a pensare di vivere con un costante senso di vendetta e di collera. “È per questo che ho letto Dostoevskij?” Scrive sul suo diario mentre fuori ululano le sirene e si scatena la contraerea.
Sotto le sue finestre sfilano i soldati tedeschi scattanti nelle loro grigie uniformi, nell’orrenda regolarità meccanica del passo, del movimento delle braccia.
Carla li guarda passare e prova qualcosa di simile alla compassione: “Io sono mille volte più libera. Nonostante la mia stella gialla”.
Bibliografia:
Carla Simons, La luce danza irrequieta. Diario 1942-1943, Edizioni di Storia e Letteratura;
Etty Hillesum, Diario 1941-1943, Adelphi.