Pessoa aprì gli occhi, ma vide solo una nebbia biancastra che fluttuava nella stanza d’ospedale.
Sono ancora qui, pensò, mentre una fitta di dolore al fianco lo trafisse all’improvviso.
Avrebbe dato qualsiasi cosa per un goccio di vino, ma nessuno glielo offriva più. È per il tuo bene, dicevano. E pensare che il suo capo gli aveva sempre dato il permesso di andare al bar durante il lavoro perché tornava “in ottima forma e pieno di idee”. Non era forse suo lo
slogan geniale per la Coca Cola: Primeiro estranha-se, depois entranha-se? (Prima ti stupisce, poi ti entra nelle viscere?)
Un’ombra sembrò avvicinarsi al letto: forse era il dottore, ma poi sentì un leggero profumo di fiori misto a un odore come di fieno appena tagliato. Dev’essere l’infermiera, pensò. Aprì la bocca per parlare, ma non uscì nessun suono.
Voleva i suoi occhiali, dov’erano i suoi occhiali?
Chiuse gli occhi, la fitta al fianco ora era più forte.
Il cigolio della porta che si chiudeva gli dette sui nervi, l’infermiera se n’era andata senza dargli gli occhiali.
La nebbia continuava a fluttuare ma ora ce n’erano quattro di ombre intorno al suo letto.
Strizzò gli occhi per mettere a fuoco, sollevando un poco il capo dal cuscino intriso di sudore.
Con un sospiro di sollievo si lasciò ricadere sul letto.
Alberto Caeiro, Alvaro de Campos, Ricardo Reis e Bernardo Soares, chissà come avevano fatto a entrare, non era orario di visite e nessuno sapeva che lui fosse in ospedale da tre giorni. Stavano zitti, in piedi, ma erano lì per lui.
Allungò la mano verso l’ombra più vicina, forse era Alvaro.
Dammi più vino, che la vita è niente.
Bibliografia:
Fernando Pessoa, Poesie di Alvaro de Campos, Adelphi;
Antonio Tabucchi, Gli ultimi tre giorni di Fernando Pessoa, Sellerio.