Maya Angelou si guardò nello specchio macchiato appeso vicino al letto.
Ogni sera faceva fatica ad addormentarsi da quando Freeman, il compagno di sua madre, l’aveva sorpresa nel sonno e l’aveva stuprata.
Maya aveva otto anni.
Lei aveva detto tutto a suo fratello che l’aveva detto a sua madre e quell’uomo era finito in prigione, ma l’avevano scarcerato quasi subito.
Quattro giorni dopo era morto, pestato a sangue da zio Willie.
“La mia voce l’ha ucciso”, pensò Maya, “ho ucciso io quell’uomo, perché ho pronunciato il suo nome”.
Lo specchio rifletteva il suo volto, ma fino all’altezza del naso perché una macchia di umidità le nascondeva la bocca.
“Non devo più parlare, se la mia voce può uccidere qualcuno”.
Bibliografia:
Maya Angelou, Il canto del silenzio, Sperling&Kupfer;
Maya Angelou, Unitevi nel mio nome, Frassinelli.