Abbiamo chiesto a Tea Ranno di presentare ai nostri lettori il suo ultimo romanzo Avevo un fuoco dentro – storia di un dolore che non si può dire (Strade Blu Mondadori 2024) che, per la prima volta nella sua densa produzione letteraria, non è una storia d’invenzione ma un memoir che narra la sua esperienza a due facce tra la malattia che l’ha inseguita fin da ragazza e la scrittura che l’ha accompagnata, trasformandola nella donna e l’autrice che è oggi. Ed ecco allora questa sorta di viatico che affida ai suoi lettori.
Avevo un fuoco dentro è la storia del mio viaggio, fin quasi a morirne, dentro quella malattia tremenda che si chiama endometriosi, di cui ho cominciato a soffrire quando ero una ragazzina e che mi ha accompagnato – facendo molti danni – per buona parte della mia vita.
Perché raccontare proprio la malattia?
Per “fare rumore” intorno a essa, per far capire a chi leggerà le mie pagine che i forti dolori in fase mestruale non sempre sono normali, che soffrire durante il ciclo non è una condanna da sopportare a denti stretti: dietro quel dolore può nascondersi un’insidia, un male capace di rendere la vita durissima e, soprattutto, di compromettere la fertilità.
Dunque scrivere per condividere, per allertare, avvertire, aiutare a comprendere. Ma anche per trovare le parole capaci di esprimerlo quel mal di pancia che, detto così, scivola via senza lasciare traccia.
«Scrivi, signora» esorta infatti un’amica. «Racconta che non t’hanno mai creduta, che t’hanno sbagliato tante volte la diagnosi, che t’hanno dato farmaci sbagliati, che t’hanno quasi uccisa (…) Io e le altre, quando parliamo della malattia, usiamo termini talmente abusati che lasciano indifferenti. Tu parli del cane dai denti aguzzi, del magma nelle viscere, delle bocche di fuoco, e sei credibile… Quello che voglio dire è che tu hai lo strumento, capisci? Lo strumento per comunicare adeguatamente, anzi, lo strumento per far sentire come questa malattia ti tormenta la vita e la fa indegna».
Lo strumento per comunicare adeguatamente, dunque. Ma non solo. Nei tempi il cui il dolore mi tramortiva e nessuno mi credeva, il diario è diventato il compagno che accoglieva sfoghi e rabbie, senso di impotenza, desideri, bisogni; il luogo del confronto con me, ma anche della fuga: scappa, via, scappa! Inventa, inventa! Crea un mondo altro, senza cani che ti mangiano la vita, senza fuochi che ti ustionano: il mondo bellissimo in cui la vita scorre normale (la normalità di cui i sani non si accorgono), o quello in cui la stravaganza ti piglia per mano e ti regala l’avventura, il sogno.
Così, sfogo dopo sfogo, pagina dopo pagina, avventura per le più complicate vie del sogno, è nata la signora col taccuino, quella che va in giro raccogliendo storie e trasformandole in romanzi.