Dopo tanti anni vissuti a Milano, Pia Pera era stanca e aveva voglia di pace, terra e alberi.
Aveva, perciò, recuperato un vecchio podere di famiglia, appena fuori Lucca, con un ampio terreno ormai abbandonato e una casa diroccata, soffocata dai rovi.
Fino ad allora Pia aveva girato il mondo creando giardini esclusivi per gli altri, alla ricerca delle piante e dei fiori più rari.
Adesso voleva un piccolo Paradiso tutto suo nel quale rifugiarsi, ma c’era la casa da ristrutturare e un orto e un giardino che dovevano essere pensati, progettati e realizzati.
Fu proprio una mattina, mentre affondava le mani nel terriccio cercando di non disturbare troppo i lombrichi, che pensò che avrebbe dovuto tenere una specie di ‘diario di bordo’ in cui raccontava con entusiasmo la sua nuova vita di apprendista ortolana.
Mentre rimuoveva il terreno con zappetta e rastrello le tornava in mente il detto ‘l’orto vole l’omo morto’, sentito tante volte da bambina.
Ultimamente la stanchezza le arrivava addosso all’improvviso, e spesso doveva interrompere il lavoro. Appoggiata al rastrello per riprendere fiato, fissò un angolo da dove si apriva uno scorcio stupendo, inondato da una luce tutta d’oro.
Sarebbe stato bello sedersi su una bella panchina di pietra e godersi la vista e il tramonto.
Con un sospiro riprese a zappettare il terreno, voleva finire prima che scendesse la sera.
Bibliografia:
Pia Pera, L’orto di un perdigiorno. Confessioni di un apprendista ortolano, Ponte alle Grazie;
Pia Pera, Al giardino ancora non l’ho detto, Ponte alle Grazie.