“Acari” di Giampaolo G. Rugo (Neo edizioni)

Una sorta di romanzo, composto di racconti uniti tra loro, in cui tutti i personaggi provano un attimo di sfolgorante felicità destinato a sparire

Un libro fatto di belle speranze, e di occasioni mancate. Le storie sono storie di sopravvissute e sopravvissuti a una sorta di guerra, dove la posta in gioco è il successo, l’amore inteso come capacità di conservare relazioni, possibilità di sfondare nello sport, e c’è sempre un intoppo, un cartello di “Game Over” che cala addosso ai protagonisti, le loro voci confuse e nitide insieme, che sfociano in un corale, potente, urlo contro chi o cosa ha tradito tutte le vivide, giovani e fresche speranze, lasciando in sostituzione corpi feriti e solitudine fine come sabbia. La solitudine è di quelle potenti, senza scampo, quella che ti fa morire rinserrato in un cubo di 60 mq, e nel corso degli anni nessuno ti ricorda, tranne un’amica che testimonia che eri una brava persona.

Per un attimo di sfolgorante felicità hanno tutti camminato sollevati da terra, prima di dissolversi nella realistica scesa a patti con una realtà fatta di spigoli appuntiti.

Franco ha un fratello disabile che non riesce a toccare. Gimbo, il fratello disabile, ha un corpo distrutto, ma un’anima ancora più ferita e chiede gesti di desiderio alle prostitute e pietà estrema a un operatore sanitario.

Claudia deve confrontare il suo corpo agile e perfetto dei 16 anni, con la versione scarnificata di quando consumava eroina, e infine con l’accumulo di grasso che, come strati di vita vissuta, si accumula sulla pancia, sui fianchi, sul sedere, e ha continuamente bisogno di guardarsi nello specchio, che le rimanda, nel modo di un incantesimo malvagio, l’immagine di sé stessa che non coincide con quella che lei desidera. Claudia vende aspirapolveri con la testina flottante, un miracoloso rimedio contro gli acari, che di notte, indisturbati, si nutrono di pezzi della nostra pelle e si infiltrano nei nostri tessuti, ferendoci, provocandoci prurito e lesioni sulla pelle. Spesso incontra persone sgarbate che le chiudono il telefono in faccia, stanchi e ammorbati da proposte di vendita di oggetti svariati. Eppure, lei non si perde d’animo e continua. Quando decide di cercare il fidanzato dei tempi del liceo e lui non la riconosce si vede con i suoi occhi, una donna invisibile, il cui peso sembra sottrarla al gioco disturbante del corteggiamento e del desiderio. Però non è così, perché, Aldo, uomo solo e gentile la ama per come può, senza fare caso ai suoi chili di troppo e le offre l’autentica tenerezza e accettazione di cui ha bisogno.

La donna più vecchia del mondo festeggia i suoi 128 anni in tivù, come ormai succede da almeno 20 anni, e dietro l’apparente bonomia della vecchietta si nasconde una personalità fagocitante e fredda, la cui unica passione è Paul Mc McCartney e il miele, di cui è golosissima, le gocce chiare che le scivolano dalla bocca, sono possibilità potenti di gioia. Più del clamore e delle luci crude, asfittiche, dei riflettori e dei falsi sorrisi del pubblico e dei conduttori in sala.

Mario è l’operatore sanitario che si occupa di Gimbo, ma è anche un vecchio innamorato di Claudia, un ragazzo che si messo addosso i vestiti migliori che aveva nel giorno dei suoi 18 anni e l’ha seguita fino a casa per avere le briciole di un sorriso o di un cenno che gli dimostri che lei sappia della sua esistenza. E lei, Claudia, prima dell’eroina, prima dei kg in più, lo fa quel gesto, sospeso a mezz’aria, il dito che indica la saracinesca di un’officina.

E quel gesto sbiadito, inservibile, per Mario a 18 anni, è qualcosa da inghiottire più veloce del fumo e della saliva e che continua a galleggiargli addosso mentre, a spalle chine, si avvia verso il ritorno a casa, i capelli chiari di lei che ondeggiano nel movimento ritmico della coda di cavallo e delle gomme da masticare al sapore fruttato.

E allora non basta un minuto intero di beatitudine, anche per tutta la durata della vita di un uomo? Questo l’ha detto Fëdor Michailovic Dostoevskij, e allora dobbiamo crederci, che quel minuto ci deve bastare, che non siamo solo nutrimento per dei parassiti, ma anche voglia e desiderio di esistere, con prepotenza o discrezione, ma questo vogliamo, essere visibili. Almeno per quel minuto.

Una sera dormi a fianco della donna che ami.

La sera dopo arriva una telefonata.

Un bambino nasce, un bambino muore.

Un martedì piovoso di novembre cammini per strada e ti senti il re del mondo.

Una domenica soleggiata di aprile hai paura della tua ombra.

La tromba di Miles, la luce arancione della rimessa degli autobus, la superficie liscia del baccello di fava tra le dita, il profumo della minestra, il retrogusto fruttato del vino bianco.

Perché?

Condividi su Facebook

Marilena Votta

Marilena Votta nasce a Napoli e trascorre la sua infanzia e adolescenza in un luogo fatto di sole accecante e ombre altrettanto tenaci. Ha pubblicato le raccolte di racconti Equilibri sospesi, La ragazza di miele e altre storie (Progetto Cultura, 2016) e Diastema (Ensemble, 2020), e la raccolta di poesie Estate (Progetto Cultura, 2019). Il suo racconto “Fratello maggiore fratello minore” è stato pubblicato nell’antologia “Roma-Tuscolana”. Alcuni suoi racconti sono disponibili su varie riviste on line e cartacee. Nell’ottobre 2021 pubblica il suo primo romanzo, Stati di desiderio, con D editore. Del suo rapporto con la scrittura asserisce, convinta, che è il suo posto nel mondo. Scrive recensioni di libri che ama per "Dentro la lampada", la rivista della scuola Genius.

Tag

Potrebbe piacerti anche...

Dentro la lampada

Zio Alberto

Cosetta incontra inaspettatamente un lontano parente che aveva conosciuto solo nei racconti dei suoi familiari.

Leggi Tutto
Apri la chat
Dubbi? Chatta con noi
Ciao! Scrivimi un messaggio per dirmi come posso aiutarti :)