È stato un percorso nella mia vita di ragazzina questo libro, non tanto perché abbia qualcosa in comune con la vita dei protagonisti, ma perché abbiamo avuto tutti 16 anni e un bisogno insopprimibile di amore. E molti di noi vivono ricordandoselo.
Bunny e Michael hanno due diversi gradi di esclusione e discriminazione nel liceo che frequentano, sono entrambi poco popolari, anche se per motivi diversi. Michael è gay, e, anche se non ha fatto outing, nessuno si illude sulle sue preferenze sessuali: sottolinea la linea degli occhi con un vistoso eyeliner, ha i capelli lunghi fino alle spalle, e porta un piercing al naso. Bunny è alta un 1.92, e pur non mancando di una sua grazia naturale, è considerata inavvicinabile dai ragazzi, brava solo per giocare a pallavolo.
Entrambi provengono da famiglie frantumate. Michael vive con la zia, da quando la madre ha scontato la pena per un’aggressione contro il marito violento, e, in maniera silenziosa, ha capito l’ omosessualità del nipote, anche se non gliene parla apertamente. La scarcerazione della madre lo separerà per sempre da lei e dalla sorella, visto che il confronto con la sua famiglia di origine è troppo complicato. C’è un interrogativo che lo tormenta, e al quale il sistema giudiziario americano ha fornito una risposta lontana da quella che per lui è la giustizia: se la madre, debole, con scarsissima scolarizzazione, non ha denunciato il marito violento perché lo amava, e che a seguito di un inizio di strangolamento ha usato un coltello da frutta per difendersi, in maniera convulsa, istintiva, perché è stata condannata? Perché era una vittima, e non era in grado di rispondere alle domande incalzanti del pubblico ministero. Perché non era scappata. Perché non aveva denunciato il marito. Perché non credeva che lui volesse davvero ucciderla.
Michael non crede nel sistema, non ha veramente fiducia negli adulti, lavora per contribuire al suo mantenimento e divide la stanza con il cugino bulletto e omofobo.
Così il suo legame con la vicina di casa, Bunny, diventa più potente di un legame di parentela. Anche Bunny non ha la madre, morta in un incidente stradale, che qualcuno insinua essersi trattato di suicidio, e vive con il padre, un uomo alcolizzato e megalomane, che ha un tenore di vita al di sopra delle sue reali possibilità.
I due trascorrono l’adolescenza proteggendosi a vicenda, tenendosi per mano quando nessuno vuole farlo, tenendo fuori i giudizi dal loro mondo a due.
Il giorno del suo diciottesimo compleanno Bunny aggredisce, in una reazione da corto circuito, una ragazza, ex amichetta delle elementari, ora una giovane pettegola imbevuta di sacra ipocrisia religiosa, perché stava insultando Michael e l’uomo adulto con il quale ha una relazione.
Il desiderio di Michael di farsi strada fino alla fine della scuola in maniera più o meno indolore non è più realizzabile. Bunny ha bisogno di compassione e affetto, anche perché il padre non esita a pensare al suo proprio futuro, anche a discapito della figlia, che continua ad amare solo finché mantiene la sua aura di principessa dello sport, in grado di garantire anche a lui lustro, visibilità e soldi.
In un sistema di valori basato sull’apparenza Michael capisce che nessun adulto li salverà, o almeno non quelli che dovrebbero proteggerli, quando rimane vittima di un’aggressione a sfondo omofobo e la madre si rifiuta di ammettere il motivo per il quale il figlio è stato picchiato.
Il fatto è che la loro vita è andata avanti in modi troppo diversi, senza nessuna vera vicinanza, e il bisogno di sopravvivere di Michael lo porta ad allontanarsi anche da Bunny, che ha la prospettiva di un periodo in carcere.
Ecco il punto: la feroce lealtà verso la loro amicizia non può reggere contro la crudeltà e la follia carceraria. Eppure, quando, dopo qualche anno, si rivedranno e metteranno in mostra le loro colpe reciproche troveranno di nuovo qualcosa di bello da ricordare. Il loro legame, appannato, opacizzato, il loro amore senza sesso è qualcosa che continua a tenerli al sicuro.
Nessuno può avere amici come quelli che si amano ferocemente a 16 anni.
“Michael non puoi lasciare che certe cose… quelle persone, sono cattive e ti faranno male e ti uccideranno, e non puoi permetterglielo solo perché tu sei innocente e loro sono cattivi. Devi provare a scappare. Devi combattere con tutto quello che hai.”
Era quasi in lacrime e mi sono accorto che stava dicendo tutte quelle cose perché voleva trovare un modo per annullare il pestaggio, per scongiurarlo, per tornare indietro nel tempo e far sì che non fosse mai avvenuto, per non farlo accadere mai più e si sentiva così perché mi amava.
“A volte mi odio, qualche volta succede”.
“Non voglio che ti odi”.
Amavo il suo corpo, lo amavo tanto. Amavo lei. Era buona e cattiva proprio come una pantera. Come un qualsiasi animale. Come noi. Come me.
“Fa tutto un po’ male” ha sussurrato.
Ero d’accordo “Fa tutto un po’ male”.
E poi ci siamo addormentati.